Mons. Gustavo Matteoni
Vescovo di Grosseto
Elogio funebre di Mons. Pio Alberto Del Corona dei Predicatori
Arcivescovo Titolare di Sardica
già vescovo di S.Miniato
recitato nella Cattedrale di San Miniato il 1° dicembre 1920
per l’inaugurazione di un Ricordo marmoreo
S. Miniato
Tipografia Vescovile Taviani, 1921
Monsignore venerato,
Reverendissimi Canonici e Sacerdoti, diletti Samminiatesi.
Non sono ancora asciutte sui nostri cigli le lacrime, che versammo
per la nostra dolorosa separazione, e sono un'altra volta tra voi a
versare insieme altre lacrime.
E chi di noi, che abbia avuto Mons. Pio Alberto Del Corona a maestro
e a padre, potrebbe trattenere in questo momento le lacrime? Quante
memorie liete e dolorose si ridestano ora nella nostra mente! Quale
piena di affetti si addensa nei nostri cuori!
Si desiderava che un marmo ricordasse il nome e le sembianze di Mons.
Del Corona in questo tempio, dove per trentadue anni parlò di cose
divine, distribuì tesori di grazie celesti e supplicò per la
salvezza del suo popolo. Per volere dell'Eccellentissimo Vescovo
[Carlo Falcini, n.d.r.], che mi compiaccio di dire ancor mio, del
Rev.mo Capitolo di questa insigne Cattedrale, del Clero della
Città e della Diocesi, delle Congregazioni del SS. Crocifisso e
del Suffragio di questa parrocchia, e per volere dei gentili
Samminiatesi, il desiderio oggi è compiuto.

La mano della Sig.ra Amalia Duprè, con fine magistero di arte,
ha scolpite nel marmo le soavi sembianze di Mons. Del Corona, e
questo tempio, a me e a voi sommamente caro, agli altri capolavori
della valente scultrice aggiunge ora anche questo.
Ci è dolce rivedere in quel marmo la cara e soave figura del
maestro e del padre. E noi che conoscemmo e amammo Mons. Pio lo
rivediamo ora nella mente; lo rivediamo nelle sue bianche vesti,
nelle sue movenze agili e nobili, nell'ingenuo candore del suo volto,
col dolce sorriso sul labbro, cogli occhi lucenti, nei quali si
rifletteva l'ingenita bellezza della sua anima, con lo sguardo
composto a una sublime contemplazione.
Sebbene valentìa di arte e devota venerazione verso Mons. Del Corona
abbiano guidato l'ingegno e la mano della scultrice, pure non le
deve essere stata facile impresa ritrarre nel marmo questo tipo
d'insolita bellezza. Quanto più difficile a me, cui fan difetto
ingegno e arte del dire, è concepire nella mente questo tipo di
singolare bellezza morale, e presentarlo a voi sotto le nobili forme
del bello stile!
L' Apostolo S. Paolo, rapito al terzo cielo, non sa se fosse nel
corpo o fuori del corpo; sive in corpore nescio, sive extra corpus
nescio, Deus scit. (2 Cor 12, 2 ). E io non so se il Nostro visse
più nel corpo o fuori del corpo, nel mondo o fuori del mondo, se
passò tra noi creatura più celeste che terrena, più angelica che
umana. Sive in corpore nescio, sive extra, corpus nescio, Deus scit.
O cari Samminiatesi, io raccolgo la risposta al mio dubbio dalle
vostre labbra: Quello era un angelo; ecco l'elogio di Mons. Del
Corona, che risuonò sempre sulle labbra di voi che lo conosceste.
E veramente egli fu angelo: d'angelo ebbe l'intelligenza, la parola
e la penna; d'angelo la fiamma dell'amore verso Dio, la purità dei
costumi; come angelo passò in mezzo a noi, angelo che tutti amò e a
tutti fece del bene.

Un’antica foto del duomo di San Miniato
Ai giorni di Mons. Del Corona già i filosofi, allontanatisi per
insano amore di novità dalla sapienza dei Padri e dei Dottori della
Chiesa, o si arrestavano alla sola conoscenza dei sensi, togliendo a
sé stessi di sollevarsi in alto alla ricerca delle supreme ragioni
di tutte le cose, o si smarrivano nelle ombre gelide e morte d'un
vaporoso idealismo. Corriamo al riparo gridarono ingegni potenti,
mal soffrendo di vedere la sapienza così lacerata. Ma furono vani i
loro sforzi generosi. Gli uni, dimenticando che l'uomo non è
composto di sola intelligenza ma anche dei sensi, per riparare al
sensismo riposero la fonte di ogni intellettualità nell'intuizione
di un oggetto divino, e con l'ontologismo nelle sue varie forme ci
ebbero per angeli piuttosto che per uomini; gli altri, per riparare
all'idealismo, guardando al pensiero nudo, sparuto, che secondo Kant,
il padre dell'idealismo moderno, trae tutto dal suo seno, come il
ragno la tela, nel pensiero della mente videro Dio, l'uomo,
l'universo, e ci regalarono le contraddizioni d'un panteismo basso e
volgare. Fra tanto agitarsi di sistemi, che si dimostrano falsi a
vicenda, alcuni disperarono di conoscere la verità, e gridarono
sbigottiti: ignoramus et ignorabimus; altri, sentendo il bisogno
della verità, sfiduciati della propria intelligenza, la verità
chiesero al lume soprannaturale della rivelazione.
Ma in mezzo a questo fluttuar di sistemi, procedeva ancor sicura, a
guisa di nave maestra, la filosofia tradizionale del genere umano,
che col genere umano partì, lo accompagnò tra l'imperversar di tanti
errori, gli sarà compagna fino alla sponda dell'eternità. Questa
filosofia ebbe il suo principale autore in S. Tommaso d'Aquino, che
con la potenza del suo genio la portò tanto in alto, fin dove
poteva portarla ai suoi giorni il genio di un uomo. A questa
filosofia Mons. Del Corona formò la sua mente. Formato a così alta
sapienza, aiutato dal lume della rivelazione si sollevò, a guisa
d'angelo, a ricercare le analogie dei misteri, a contemplare la vita
intima di Dio, e a investigare quella che Moehler chiama la
filosofia della Divinità. Un altro angelo gli fu sempre scorta
sicura, S. Tommaso d’Aquino. Dietro la scorta di tanto maestro che
cosa non vide, che cosa non seppe nelle scienze teologiche?
0 cari sacerdoti, che mi foste compagni di studio, come ci è dolce
ricordare i begli anni della sua scuola, quando con evidenza che
rapiva mostrava le supreme ragioni di Dio, dell'uomo e del mondo, e,
spiegando la Somma Teologica di S. Tommaso, ci additava le armonie
dei misteri, sollevava le nostre giovani menti alla contemplazione
delle cose divine. Parlandoci di S. Tommaso, ci diceva: S. Tommaso
è aquila che vola e provoca al volo. Svolazza l'aquila sopra i suoi
nati, e, agitando le ali, li provoca al volo. E come aquila regale
il nostro maestro e il nostro autore si sollevava con voli sublimi
nelle pure regioni delle verità trascendentali, e, discendendo fino
alla nostra bassezza, ci provocava e ci aiutava a seguirlo.

Amante del vero e del bello non avversava i progressi della
scienza. Riteneva l'amore disordinato d'ogni insana novità causa
principale dei moderni errori, e l'aborriva; ma si esaltava dinanzi
ai progressi dell'ingegno umano, e dai moderni ritrovati nelle
scienze sperimentali attingeva nuove analogie per illustrare i
misteri della fede.
Con la mente arricchita di profonde cognizioni nello studio dei
libri ispirati, dei Santi Padri e di S. Tommaso, che aveva saputo
assimilarsi, con l'anima accesa dell'amor di Dio e delle cose
divine, quando parlava si sentiva trasportato, e trasportava con sé
gli uditori in una regione di cielo. Pare ancora di vederlo sopra
questa cattedra e di ascoltare la sua ispirata parola. La grazia del
gesto, la vivacità dello sguardo, il volto infuocato, la voce
chiara, alta e soave, l'eleganza della frase, la sublimità del
concetto ce lo facevano apparire come angelo disceso dal cielo a
portare i divini messaggi. E angelo della parola lo dissero i
cento popoli della Diocesi, angelo le principali città d'Italia,
che l'ascoltarono.
Diceva Augusto Conti: Traducete a lettera la Somma di S. Tommaso e
avrete la lingua dell'aureo trecento. E così sereno e trasparente è
lo stile del sommo Aquinate, che fa vedere la verità, come si
vedono gli astri nello sfondo di un cielo limpido e cristallino.
Da S. Tommaso nei discorsi e nei molti suoi libri attinse il Nostro,
insieme alla dottrina, purità di lingua e chiarezza di stile. Di suo
vi aggiunse un vivo ardore dell' anima, un certo estro poetico, una
soave grazia ed eleganza del dire, che fecero di lui un angelo
della parola e della penna.
Tutto parlava al suo spirito di nobile artista. Le cose della natura
sono belle, perché opera di Dio che è artista infinitamente
sapiente. E ogni piccola cosa della natura incantava l'anima di
Mons. Pio fatta per il bello. Quante volte lo abbiamo visto
ispirarsi alla bellezza del cielo trapuntato di astri, della luce
nei suoi colori, d'un fiore variopinto, d'un insetto che vola. A
tutto egli dava vita, tutto sollevava in alto con le sue ali di
angelo.
Oltre l'ordine materiale, un altro ne splende più bello, il mondo
degli esseri intelligenti e liberi. In questo mondo morale rifulgono
come astri i Santi, che sono i capi d'opera che Dio è venuto
formando con lungo e paziente lavoro della sua grazia. Mons. Del
Corona con la sua mente di angelo concepì alcuni tra i più grandi
Santi, e ne ritrasse la sublime figura nei suoi panegirici.
Diceva Platone: Se potessimo vedere la virtù, le correremmo dietro
come perduti. Il filosofo greco parlava della virtù nell'ordine
della natura. Mons. Pio nei panegirici ha ritratti i tipi delle
virtù non solo nell'ordine della natura, ma anche in quello
soprannaturale della grazia, e li ha mostrati in tale splendore di
morale bellezza, che rapiscono. Il Prof. Leopoldo Guerrieri chiamò
Mons. Del Corona artista vero, originale, il Parini dei
panegiristi. Lasciate che io lo dica angelo, che nella sua mente
concepì i Santi nel vero tipo di loro sovrumana bellezza, e che li
ritrasse con le nobili forme del bello.
Ma il più bello tra i figli degli uomini è Gesù Cristo, nella cui
unità di persona si aduna la natura divina e umana, e dalle cui
membra traspare lo splendore della inabitante divinità. La più
bella tra le figlie degli uomini è Maria, con la quale Dio,
scegliendosela a madre, non tenne misura, e riversò in Lei tesori di
bontà e di bellezza. Di Gesù Cristo e della Madonna Mons. Pio parlò
e scrisse come angelo. Fu domandato un giorno a Leonardo da Vinci
dove avesse trovata la testa del Nazareno per ritrarla nel suo
Cenacolo. In cielo rispose il grande artista. E in cielo parve
trovasse il Nostro i concetti, le immagini, le frasi per ritrarre le
divine figure di Gesù e di Maria.
L'aver descritta la natura di Dio e degli angeli meritò a S. Tommaso
l'appellativo di Angelico.
E Angelico fu detto Fra Giovanni da Fiesole per avere Dio e Angeli
resi visibili nelle pareti e sulle tele. Si dia l’appellativo di
Angelico anche a Mons. Pio, che Dio e Angeli, Gesù Cristo e la sua
divina Madre, i Santi e le cose celesti descrisse con le nobili
forme del bello stile.
Mentre Dio, Gesù Cristo, la Vergine furono l’estasi dei pensieri di
Mons. Del Corona, l'incanto della sua vita, furono anche la fiamma
del suo cuore.
Come angelo egli li amò, e alla loro gloria consacrò l’ingegno, la
vita, tutto sé stesso. Chi ebbe con lui consuetudine di vita sa come
passasse talvolta parte della notte nel coretto, che risponde nella
Cappella del SS. Sacramento di questa Cattedrale, in intima
conversazione con Dio. Che cosa sarà passato tra lui e Gesù
Sacramentato in quei momenti? Le prime ore del mattino, quando la
mente è più fresca, dedicava alla meditazione, alla recita
dell'Ufficio divino e alla preghiera.
Gesù Crocifisso fu l’oggetto principale del suo studio. Anche S.
Tommaso sopra tutti i libri studiò questo, che è il libro dei
libri, nel quale sono riposti tutti i tesori della scienza e della
sapienza di Dio, e meritò da Gesù Cristo stesso l'elogio: Bene
scripsisti de me, Thoma. Il Beato Angelico piangendo e in ginocchio
dipingeva le divine figure di Gesù e della Madonna. Mons. Pio
prostrato dinanzi a Gesù Crocifisso vi ricercava con intelletto
d'amore i supremi perché di tutte le cose, e su quelle pagine,
nelle quali cadevano dalla sua penna di angelo tratti sublimi
intorno ai misteri della vita del Redentore, dai suoi occhi cadevano
le lacrime.

Non sono nell'angelo le blandizie dei sensi: È l'angelo, dice
Dionisio l’Areopagita, specchio puro, integro, senza macchia,
incontaminato. E angelo di costumi fu Mons. Del Corona. Non
mancarono in lui le passioni. Qualche volta si manifestò forte e
impetuosa l’irascibilità. Io stesso, allora tenero fanciullo, vidi
in una parrocchia quest'angelo sempre sorridente, a un tratto
cambiare sembiante, e, acceso di sdegno, intimare di uscir di
Chiesa a un padre rude e volgare, che, alzata la mano, lo
minacciava, se non gli avesse cresimato il figliuolo, che non aveva
l’età richiesta. Furono anche in lui le passioni, ma ne conservò
sempre il dominio. Il suo ingenuo candore, il sorriso del labbro,
il parlare pudico, la modestia negli occhi e nella persona ce lo
rivelavano angelo che vive nel mondo, senza che il mondo contamini
il suo candore.
Come angelo Mons. Del Corona amò tutti. Amò i poveri, e diede loro
quello di cui mancava. Amò i confratelli Domenicani, che rivedeva
sempre volentieri. Amò le famiglie religiose, alle quali infondeva
il suo spirito. Amò le bambine e le volle raccolte nell'Asilo della
Pietra a Firenze. Amò i giovinetti, e li raccolse nel Collegio di S.
Tommaso in questa città per dar loro una sana e alta educazione
intellettuale e morale.
Amò i chierici, le cui giovani menti per quasi trent'anni da sé
stesso formò alla dottrina di S. Tommaso. Amò i sacerdoti, che volle
a sé uniti come le corde alla cetra, secondo l’espressione di S.
Ignazio Martire. Io sono la cetra, diceva ai sacerdoti, voi le
corde, e, se saremo sempre uniti, una divina armonia faremo intendere agli angeli e agli uomini. Ebbe venerazione profonda per
l’Eminentissimo Card. Pietro Maffi, Arcivescovo di Pisa, che dalle
sue mani accolse e tenne per due anni, come Amministratore
Apostolico, il regime di questa Diocesi. Parlando di lui, lo diceva
con ammirazione un Ercole di attività nel governo delle anime. Amò
il suo successore, e io stesso l'ho visto più volte gioire ed
esprimere la sua compiacenza perché su questa Cattedra, dalla quale
egli era disceso, era salito chi continuava le sue tradizioni di
dottrina, di pietà e di zelo. Amò i cento popoli, che Dio gli aveva
affidati. Tra questi amò a preferenza voi, o Samminiatesi, che
riguardò sempre come i suoi figli prediletti. Per la sua Diocesi
offrì quello che aveva di meglio, la mente, il cuore, la parola, la
penna, tutto sé stesso. Come angelo passò tra i suoi cento popoli;
angelo che annunzia le verità eterne all'alba, a mezzogiorno, alla
sera; angelo, che nel tribunale di penitenza sta nelle prime ore del
giorno e in quelle della sera fino a notte avanzata; angelo che
consola e conforta quanti vanno a versare le pene del proprio cuore
in quello di lui; angelo che espia le colpe dei figli, placa Dio e
lo rende a loro propizio.
Come angelo, sulla terra posò soltanto il piede; la mente e il cuore
ebbe invece in cielo. Per questo gli furono ignote persone e cose, e
ne ebbe dispiaceri e più volte ne pianse; ma fu angelo, che s'
immolò vittima per il bene di quelli che Dio aveva affidati alle sue
cure.
Come angelo passò in mezzo ai popoli, e come angelo questi lo
accolsero. Nominato Vescovo titolare di Draso e coadiutore del
Vescovo di S. Miniato, si prostra ai piedi di Pio IX, e con accento
commosso e colle lacrime agli occhi Padre santo, dice, liberatemi
per amor di Dio, della Vergine, di S. Pietro, per il bene della
Chiesa. E il Papa per confortarlo posa la mano paterna sul capo del
giovane domenicano, e dice: Per amor di Dio, della Vergine, di S.
Pietro, per il bene della Chiesa e per amore anche di questo povero
vecchio, andate, non esitate più. E venne tra noi; ma venne
trepidante. Sempre difficile il regime delle anime, che S. Gregorio
chiama l’arte delle arti. Ma tanto più a quei giorni a S. Miniato,
dove rimaneva ancora il Vescovo titolare. Si richiedeva in lui
singolare prudenza, pazienza non comune, e tatto squisito. Non
facevano difetto al giovane Vescovo queste doti, e presto la sua
trepidazione si dileguò. La stima e l'affetto del clero e del popolo
gli preparò feste e trionfi. Una catena di feste in suo onore fu la
sua vita in mezzo ai suoi popoli. Ricordiamo ancora con profonda
commozione l’ultimo anello di questa catena, le sue nozze d'argento
episcopali, anello veramente d'oro, come egli stesso le diceva. Che
gara di doni! che rivalità d' affetti! che plebiscito d'amore! Egli
semplice e umile come un fanciullo, soltanto a forza si sottoponeva
al cumulo di tanti onori.
Né gli mancò la venerazione di uomini illustri nella scienza e
nell' arte.
Augusto Conti lo chiamava con profonda compiacenza il suo Vescovo.
Giovanni Duprè, oltre alla venerazione, ebbe per lui un particolare
affetto di gratitudine,
perché trovò conforto nel dolore della perdita della figlia Luisa,
leggendo il libro Elevazioni sulla SS. Eucarestia che l’altra figlia
Amalia, con delicato pensiero ispiratole dall’amore filiale, gli
aveva fatto trovare aperto sul tavolo.
Né potevano non incontrarsi e non amarsi tra loro queste anime
grandi, fatte per il vero, il buono e il bello. Il Filosofo
Samminiatese ricerca le armonie nel mondo naturale, Mons. Del Corona
in quello soprannaturale della fede. Giovanni Duprè cerca il bello
nel vero e nel buono, e imprime nel marmo forme di sovrana bellezza;
il Nostro le verità eterne esprime con le forme vive e delicate del
bello stile.

Un’antica incisione di San Miniato
Mons. Del Corona è passato;
ma rimangono ancora i frutti del suo apostolato. Esso formò una
generazione novella di figli spirituali, che si distinguono per
opere di fede e di carità. Questa generazione non si è ancora
estinta. Sono i cento popoli della Diocesi; siete specialmente voi,
o Samminiatesi, che nella fede e nella carità tenete il primato.
Formò pure una novella generazione di sacerdoti, lodevoli per sana
dottrina, per intemerità di vita e zelo di opere religiose e sante.
Questa generazione siete voi, o venerandi sacerdoti, che amore al
maestro e al padre ha mosso oggi, anche dalle più lontane parrocchie
della Diocesi, a rendergli il tributo di gratitudine. Frutti
prelibati dell'opera sua intelligente e santa sono cinque Vescovi,
tutti illustri, all'infuori dell'ultimo, che vi parla ora
indegnamente di Lui.
Mons. Del Corona è passato; ma parla ancora tra noi. Parla in quel
marmo, che ne mostra le angeliche sembianze; parla nei molti suoi
libri, nei quali innumerevoli anime trovano pascolo dolce e
sostanzioso alla loro intelligenza e pietà; parla con l' esempio
delle sue virtù angeliche.
Egli come angelo ora splende in cielo, e di lassù ci custodisce, ci
protegge, ci salva. Per le nozze d'argento episcopali, nel chiudere
la sua sublime Omelia, rivolti gli occhi gonfi di lacrime al cielo,
dall'anima profondamente commossa trasse questa preghiera:
Signore, Pontefice e Vescovo delle anime nostre, come vi chiama S.
Pietro, non mi separate dal gregge nell’eternità. Ora in cielo, dove
celebra le nozze eterne con Dio, con più fervore e più sicura
efficacia, ripete la preghiera: Signore, Pontefice e Vescovo delle
anime, non separate da me quello che fu il mio gregge. Salvate il
mio successore, salvate i miei sacerdoti, salvate quelli che
affidaste alle mie cure. Quassù dove ora è il padre, fate che un
giorno siano i figli.