I doni in cielo
PENTECOSTE DOMENICANA

Schiere di santi domenicani, predella di una pala dipinta dal Beato Angelico

«Questa città santa della Gerusalemme celeste non è irrigata dal corso di un fiume simile a quelli della terra; ma sgorgante dalla sorgente di Vita, che è lo Spirito Santo, di cui una debole goccia ci abbevera quaggiù, inonda gli spiriti beati con il torrente effervescente dei sette vigori spirituali »(69).

Con questi termini S. Ambrogio afferma la permanenza, e descrive l’abbondanza dei doni dello Spirito Santo in cielo.

In cielo le virtù morali non hanno più ragione di esistere, la speranza è compiuta, la fede lascia il posto al lume della gloria; tutte queste virtù spariscono con la vita terrena: solo la carità rimane. Essa rimane identica, ma infinitamente più ardente, perché non si alimenta più in un'oscura fede, ma in una visione faccia a faccia dell'Eterna Bellezza.

La carità rimane: vale a dire, lo Spirito Santo non cessa di abitare nel cuore del beato, solamente non è più lì come il peso lontano dal suo centro di attrazione, e che incontra ogni sorta di ostacoli, ma come il peso giunto al suo termine, che gravita come una forza ormai senza impaccio e fissa indissolubilmente l'essere che anima alla meta dei suoi sforzi.

Se lo Spirito Santo regna più che mai nel cuore del beato, è dunque perché i suoi doni non cessano di reggere la sua nuova attività. Infatti, perché i doni? L'abbiamo detto: è per rendere l'anima docile alla mozione dello Spirito. Ma quando sarà ella più docile a questa mozione, di quando sarà pervenuta a quella patria in cui Dio è tutto in tutti, omnia in omnibus, e in cui l'uomo sarà finalmente del tutto sottomesso a Dio (70) [cum autem subiecta fuerint illi omnia tunc ipse Filius subiectus erit illi qui sibi subiecit omnia ut sit Deus omnia in omnibus (1 Corinzi 15,28)]?

Ma, se i doni sussistono in cielo, il campo di esercizio della loro azione è assai modificato. In cielo, non più quegli indugi che la speranza conosce, non più quella oscurità che la fede comporta, che ci fa udire e non vedere i misteri di Dio, non più quelle precipitazioni che impacciano la sicurezza dei nostri consigli, non più ignoranze da superare con la mortificazione, non più opere di misericordia da compiere, non più avversità da sopportare, non più orgoglio da frenare con timori salutari. I doni ci aiutano a vincere tutte queste difficoltà della vita. In cielo non ci sono più. E perciò, dice S. Gregorio Magno, in ciascun dono si considera qualche cosa che sparisce con lo stato presente (71).

Ma aggiunge subito che qualche cosa resta, e questo non è l'ufficio meno glorioso dei doni.

Il dono della Sapienza continua a riempire di certezze divine il cuore del beato; il dono dell'Intelletto lo illumina più che mai; il Consiglio riempie l'anima sua di soddisfazioni ragionevoli; il dono della Fortezza gli dà sicurezza; il dono della Scienza lo illumina a fondo; la Pietà gli ispira sentimenti di gratitudine espansiva; il dono del Timore gode, senza apprensione, le gioie dell'avvenire.

La Vergine Maria è la prima a ricevere l'impronta dei doni così trasformati. Le apprensioni sante e la decisione coraggiosa dell'Annunciazione, il misericordioso saluto della Visitazione, il consiglio pietoso e la scienza delle vie del suo Figlio alle nozze di Cana, il raccoglimento silenzioso nell'intelligenza del mistero della Paternità divina, l'esaltazione del Magnificat, tutto questo si riflette nel suo cuore ed è riconoscibile nell'espressione del suo volto, ma quanto più penetrante! E' sempre la Vergine delle Sette Parole del Vangelo, ma quello che era allora velato come ogni merito umano, ora rifulge. L'ideale del suo cuore è chiaro e visibile. Buona madre, oh! come siete bella! Tota pulchra es [Tota pulchra es, Maria,/ et macula originalis non est in te, etc. (antifona)]!

Maria ha sollevato il suo manto che avvolge l'Universo della sua virtù protettrice, e i nostri santi sono nel miglior posto, in quel posto in cui li vide S. Domenico, come uccellini sotto l'ala della loro madre.

Incoronazione della Vergine, affresco del Beato Angelico nel Convento di San Marco, Firenze

S. Domenico! Non è più il Domenico della Crocifissione [nell’affresco del Beato Angelico] . Non è più il dotto che piange, inginocchiato ai piedi della croce, sui peccati e sulle miserie che il suo dono della Scienza gli fece conoscere a fondo. Ma è il Domenico dell'Incoronazione della Vergine[affresco del Beato Angelico nel Convento di San Marco, Firenze] , con la stella fiammeggiante in fronte, con il volto radioso, con lo sguardo fisso nel Dio tre volte santo e nell':atto di immergersi nelle origini divine del mistero della salvezza del mondo e ormai rasserenato dalla piena evidenza della Bontà che veglia sulla salvezza dei peccatori. Presso a lui, il suo figlio di predilezione, S. Giacinto, l'apostolo del futuro popolo martire, il santo che veglia sempre sull'Est dell'Europa e non cessa di pregare per la nazione che fu il suo retaggio. Egli partecipa alla gioia serena del suo Padre, perché vede senza veli il decreto eterno che ordina al sangue dei martiri di essere una semenza di cristiani. Sopra la sua fronte brilla una piccola stella, immagine di quella del beato Padre, immagine altresì del suo destino che è di gravitare attorno alla grande stella domenicana. Ed ecco sopra il manto della Regina del nostro Ordine una prima costellazione.

S. Caterina da Siena, S. Agnese da Montepulciano, S. Rosa da Lima, S. Caterina de' Ricci, gruppo scelto nel quale gli splendori dell'intelletto, gli scintillii del timor filiale, la dolce luce della pietà, gli ardori rianimanti della fortezza, fondono le loro diverse armonie in una specie di concerto indefinibile e beatificante. Così, durante una bella notte di inverno, sulle rive di quei mari dove si riflettono le stelle, il viaggiatore, dall'alto di un promontorio, contempla lo scintillio vivo e raccolto dei cieli in preghiera. Tutt'a un tratto, verso sud, un gruppo trapezoidale di quattro stelle lucide emerge dalla linea dell'orizzonte e sale lentamente, riempiendo ogni angolo del cielo di una bianca luce. Alla punta davanti, un astro di prima grandezza uno dei più belli del cielo. E' la Spiga della Vergine e i suoi tre satelliti: il loro corteo forma la costellazione della Vergine. Tale è Caterina da Siena e le sue tre sorelle. Ed ecco, distaccato sul fondo azzurro cupo del manto della Regina, una seconda costellazione.

Nel cielo vi sono stelle, come Sirio, che hanno raggi imporporati e sanguigni. Con questo splendore rifulgono alla loro volta i nostri martiri, S. Pietro da Verona e S. Giovanni di Gorcum. Il loro sembiante riflette la fortezza, ma non più la fortezza tesa per la lotta; ma la fortezza della vittoria riportata, serena e calma. Sorridono, come al ricordo di un giuoco, dello sforzo del loro martirio, ora che vedono con evidenza quanto avevano ragione di non temere, ora che contemplano nella sua sorgente la forza che li sosteneva, l'onnipotenza dell'Eterno. Ed ecco sul manto di Maria l'imporporamento di una terza costellazione.

Ora i Predicatori apostoli. La loro anima non è più oppressa dai terrori salutari che lo spirito ispirava loro «per timore che dopo aver predicato agli altri, non fossero essi medesimi riprovati» [cfr. anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato (1 Corinzi 9,27)]. Hanno cessato di «dare nella loro carne compimento alla sofferenza che manca alla passione di Cristo» [cfr. Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Colossesi 1,24)]. Là splendono le glorie dei due apostoli spagnoli che si dividono i due mondi, S. Vincenzo Ferreri e S. Lodovico Bertrando. E S. Vincenzo non è più terrificante, e S. Lodovico non è più atterrito, perché davanti a loro sfoggia eternamente l'immenso oceano della divina misericordia. Ed ecco nel cielo del manto di Maria una quarta costellazione.

Gloria alla Trinità Santa, ecco la costellazione dei Dottori! E' la loro vecchia amica, questa santa e indivisibile Essenza di Dio. Come l'hanno essi scrutata mentre vivevano! Che fatica fu la loro! «Per causa tua - cantava il loro cuore - noi ci mortifichiamo tutto il giorno: siamo riguardati come pecore destinate al sacrificio» [Per te ogni giorno siamo messi a morte,/ stimati come pecore da macello (Salmi 43,22); Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello (Romani 8,36)]. L'altare del sacrificio era il loro tavolino da studio; la loro mortificazione era il lavoro intellettuale oscuramente dedicato al servizio della Fede. Ora vedono quello che hanno tanto studiato! O S. Raimondo, o S. Antonino, che sguardo avete! Com'è scintillante, com'è intenso, come divora, come si pasce avidamente!

Ma, che cosa è dunque codesta luce inesprimibile, che rifulge dietro a voi come un incendio di fuochi d'oro? Tutto il manto della Vergine ne è illuminato, tutte le costellazioni celesti vedono la sua calda luce mescolarsi alla loro. Ecco S. Tommaso d'Aquino in estasi, all'ultimo posto, come nella Crocifissione del Beato Angelico: il suo sguardo aperto come un abisso senza fondo lascia entrare i torrenti di luce che sgorgano verso di lui dalla Trinità Santa! la gloria di Dio s'inabissa nella sua vasta intelligenza e scende fino nel suo cuore, e, se non fosse il suo petto che fiammeggia come un sole e produce tutto questo incendio, potremmo credervelo inghiottito. «Un sole immortale nasce dal suo petto» [L’iconografia usuale ritrae S.Tommaso con un libro in mano, una stella o un sole raggiante sulla fronte o sul cuore; talvolta appare una colomba (lo Spirito Santo) che gli suggerisce quello che deve scrivere]

E sul manto della S. Vergine la quinta costellazione domenicana risplende come un sole.

Dietro a queste stelle di prima grandezza il cielo del manto della nostra Madre non è morto. Una luce discreta lo riempie e l'occhio che lo fissa crede ad ogni istante di vedere scintillare un numero infinito di piccole stelle. E non s'inganna, perché il fondo stesso del manto della Vergine è vivente; e vive d'un numero infinito di anime domenicane. Alcune sono anche discernibili: sono le protettrici del nostro Ordine, i nostri beati e le nostre beate. Poi, tutti i nostri fratelli e sorelle morti nel Signore, al canto della Salve Regina, dal tempo del beato Domenico; poi, i nostri fedeli fratelli e sorelle del Terz'Ordine, il cui cuore batté all'unisono con il nostro, i nostri benefattori, associati ai nostri suffragi, ufficialmente o no, poco importa, dal momento che furono associati alle nostre opere e ai nostri meriti; poi, l'innumerevole esercito delle anime devote al S. Rosario, dei confratelli del SS. Sacramento, del S. Nome di Gesù, della Milizia angelica [confraternita che promuoveva la castità sull’esempio e per l’intercessione di S. Tommaso, il Dottore Angelico], poi i dottori che professarono la nostra dottrina e, come i figli di S. Teresa [i carmelitani scalzi] e la stessa madre loro, «ne furono così benemeriti», poi, la moltitudine delle anime salvate dalle nostre predicazioni, dalle nostre preghiere, mortificazioni e buone opere. Ed ecco in tutto il cielo domenicano un bagliore profondo, uno scintillio lieto, un'animazione intensa e discreta che fa risaltare lo splendore degli astri di prim'ordine. Così, durante una bella notte, risplende in tutto il cielo, come un fondo vivente e lucido, in cui si distaccano e si evolvono le grandi costellazioni, lo splendido sfilare della via lattea.

Anime sante, anime pie, anime domenicane, il manto della Madre vostra vi attende. Perché tardate ancora a seguire con docilità le ispirazioni dello Spirito che sposò Maria, e di cui vissero tutti i vostri santi? Voi siete esitanti, siete oppressi, siete deboli, avete paura del Soprannaturale. Avrete voi paura dello Spirito Santo, dello Spirito che fece Maria così eccellente e i nostri fratelli così amabili e così santi? «Non avete ricevuto uno spirito di servitù per essere ancora nel timore - dice San Paolo - ma avete ricevuto uno spirito di adozione per il quale gridiamo: Abbà! Padre. Lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. Ora, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se pure noi soffriamo con lui, per essere con lui glorificati »(72) [E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. (Romani 8,15-17)]. Ma voi non sapete come fare, donde cominciare: ebbene lasciate fare allo Spirito. Egli s'incarica di condurvi. Ascoltate piuttosto San Paolo: «Lo Spirito ci aiuta nella nostra debolezza, perché noi non sappiamo quello che ci conviene domandare nelle nostre preghiere. Ma lo Spirito stesso intercede con sospiri inesprimibili; e colui che scruta i cuori conosce il pensiero dello Spirito, perché secondo Dio intercede egli in favore dei Santi »(73) [Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio (Romani 8,26-27)]. Raccoglietevi dunque in questo santo giorno della Pentecoste, anniversario del giorno glorioso in cui lo Spirito di Dio prese possesso del mondo, raccoglietevi, in presenza della Santa Vergine Maria, Sposa dello Spirito Santo, di tutti i santi del nostro Ordine che furono suoi confidenti, suoi amici, suoi discepoli fedeli, e domandate allo Spirito che abita in voi, che interceda a vostro favore, con uno di quei sospiri inesprimibili che ottengono da Dio la Santità:

Veni, sancte Spiritus,
Et emitte coelitus
Lucis tuae radium
.


NOTE

(69) S. Ambrogio citato da S. Tommaso. “Neque enim civitas illa Jerusalem coelestis meatu alicujus fluvii terrestris abluitur: sed ille ex vitae fonte procedens Spiritus Sanctus, cujus nos brevi satiamur haustu, in illis coelistibus Thronis, Dominationibus et Potestatibus, Angelis et Archangelis redundantius videtur effluere, pleno septem virtutum spiritalium fervens meatu” (S. Ambrogio, De Spiritu Sancto libi tres, lib. 1, c. 16, 158; in: Migne Patrologia Latina 16, 740). “Sed contra est quod Ambrosius dicit, in libro de Spiritu Sancto, civitas Dei illa, Ierusalem caelestis, non meatu alicuius fluvii terrestris abluitur; sed ex vitae fonte procedens Spiritus Sanctus, cuius nos brevi satiamur haustu, in illis caelestibus spiritibus redundantius videtur affluere, pleno septem virtutum spiritualium fervens meatu” (Summa Theol., 1-2, q. 68, a. 6, s.c.).
(70) “de donis dupliciter possumus loqui. Uno modo, quantum ad essentiam donorum, et sic perfectissime erunt in patria, sicut patet per auctoritatem Ambrosii inductam. Cuius ratio est quia dona Spiritus Sancti perficiunt mentem humanam ad sequendam motionem Spiritus Sancti, quod praecipue erit in patria, quando Deus erit omnia in omnibus, ut dicitur I ad Cor. XV, et quando homo erit totaliter subditus Deo. Alio modo possunt considerari quantum ad materiam circa quam operantur, et sic in praesenti habent operationem circa aliquam materiam circa quam non habebunt operationem in statu gloriae. Et secundum hoc, non manebunt in patria, sicut supra de virtutibus cardinalibus dictum est” (Summa Theol., 1-2, q. 68, a. 6, co.).
(71) “Ad secundum dicendum quod Gregorius quasi in singulis donis ponit aliquid quod transit cum statu praesenti, et aliquid quod permanet etiam in futuro. Dicit enim quod sapientia mentem de aeternorum spe et certitudine reficit, quorum duorum spes transit, sed certitudo remanet. Et de intellectu dicit quod in eo quod audita penetrat, reficiendo cor, tenebras eius illustrat, quorum auditus transit, quia non docebit vir fratrem suum, ut dicitur Ierem. XXXI; sed illustratio mentis manebit. De consilio autem dicit quod prohibet esse praecipitem, quod est necessarium in praesenti, et iterum quod ratione animum replet, quod est necessarium etiam in futuro. De fortitudine vero dicit quod adversa non metuit, quod est necessarium in praesenti, et iterum quod confidentiae cibos apponit, quod permanet etiam in futuro. De scientia vero unum tantum ponit, scilicet quod ignorantiae ieiunium superat, quod pertinet ad statum praesentem. Sed quod addit, in ventre mentis, potest figuraliter intelligi repletio cognitionis, quae pertinet etiam ad statum futurum. De pietate vero dicit quod cordis viscera misericordiae operibus replet. Quod quidem secundum verba, pertinet tantum ad statum praesentem. Sed ipse intimus affectus proximorum, per viscera designatus, pertinet etiam ad futurum statum; in quo pietas non exhibebit misericordiae opera, sed congratulationis affectum. De timore vero dicit quod premit mentem, ne de praesentibus superbiat, quod pertinet ad statum praesentem; et quod de futuris cibo spei confortat, quod etiam pertinet ad statum praesentem, quantum ad spem; sed potest etiam ad statum futurum pertinere, quantum ad confortationem de rebus hic speratis, et ibi obtentis” (Ibid. ad 2). Il testo di S. Gregorio Magno che viene liberamente citato da S. Tommaso: “Filii per domos convivium faciunt, dum virtutes singulae iuxta modum proprium mentem pascunt. Et bene dicitur: Unusquisque in die suo. Dies enim uniuscujusque filii, est illuminatio uniuscujusque virtutis. Ut enim haec ipsa dona breviter septiformis gratiae replicem, alium diem habet sapientia, alium intellectus, alium consilium, alium fortitudo, alium scientia, alium pietas, alium timor. Neque enim hoc est sapere, quod intelligere; quia multi aeterna quidem sapiunt, sed haec intelligere nequaquam possunt. Sapientia ergo in die suo convivium facit, quia mentem de aeternorum spe et certitudine reficit. Intellectus in die suo convivium parat; quia in eo quod audita penetrat, reficiendo cor, tenebras ejus illustrat. Consilium in die suo convivium exhibet; quia dum esse praecipitem prohibet, ratione animum replet. Fortitudo in die suo convivium facit; quia dum adversa non metuit, trepidanti menti cibos confidentiae apponit. Scientia in die suo convivium parat, quia in ventre mentis ignorantiae jejunium superat. Pietas in die suo convivium exhibet, quia cordis viscera misericordiae operibus replet. Timor in die suo convivium facit; quia dum premit mentem, ne de praesentibus superbiat, de futuris illam spei cibo confortat.” (Moralium Libri Sive Expositio In Librum Beati Job, 1, 32, in: Migne Patrologia Latina 75, 547).
(72) “non enim accepistis spiritum servitutis iterum in timore sed accepistis Spiritum adoptionis filiorum in quo clamamus Abba Pater. Ipse Spiritus testimonium reddit spiritui nostro quod sumus filii Dei. Si autem filii et heredes heredes quidem Dei coheredes autem Christi si tamen conpatimur ut et conglorificemur” (Romani 8,15-17).
(73) “similiter autem et Spiritus adiuvat infirmitatem nostram nam quid oremus sicut oportet nescimus sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus qui autem scrutatur corda scit quid desideret Spiritus quia secundum Deum postulat pro sanctis” (Romani 8,26-27).