Il Dono del Timore di Dio.
S. LODOVICO BERTRANDO
S. VINCENZO FERRERI
S. ROSA DA LIMA


E' onore del cristianesimo il trasfigurare le passioni umane.

Ce n'è forse una la cui riabilitazione sia più difficile che la paura ? L'amore e l'odio, la speranza e la disperazione, il desiderio e l'avversione, l'ira, l'audacia... tutte queste passioni hanno la loro grandezza. Ma la paura!... Chi oserebbe prenderne le difese? Chi, sopratutto, s'accingerebbe a dare a questo sentimento infame un ufficio in un codice morale che si rispetti e rispetti l'uomo?

Pare che questa sia un'iniziativa interdetta all'umana filosofia, perché essa teme sempre di non elevarsi abbastanza. A codesti puri moralisti occorre una dottrina di alto disinteresse. Ecco, confessare che l'uomo qualche volta ha paura! Valersi della paura per eccitarsi al bene! Che vergogna! Nascondiamo dunque questa miseria, e perché essa non sconcerti il bell'ordine dei nostri puri precetti, sopprimiamone dalla morale perfino il nome.

Allo Spirito divino apparteneva di riabilitare la paura. E' vero che il «timore» adottato dallo Spirito non ha nulla di comune col timore mondano. Non è la paura degli uomini, ma è il timore di Dio. Il timore del Signore è il principio della Sapienza, dice la Scrittura [initium sapientiae timor Domini, intellectus bonus omnibus facientibus eum, laudatio eius manet in saeculum (Salmi 110,10); initium sapientiae timor Domini et cum fidelibus in vulva concreatus est et cum electis seminis creditur et cum iustis et fidelibus agnoscitur (Siracide 1,16)]. E il S. Concilio di Trento, confermando la lunga tradizione dei secoli cristiani, dichiara buono e santo perfino il timore dei castighi divini.

S. Tommaso non si tenne pago di introdurre il timore nella morale naturale riguardandolo come la materia di una virtù, la virtù dei pazienti; non gli bastò che il timore fosse considerato come un motivo legittimo della virtù della penitenza; interprete ardito dell'ardire divino, volle dargli nella Teologia un posto che fosse veramente il suo. Non potendo fare del timore una virtù, a cagione di qualcosa di irragionevole e come di inumano che pur tuttavia conserva, ne fa un dono dello Spirito Santo, vale a dire qualcosa di superiore alla ragione, un'emanazione diretta dell'influsso regolatore di Dio sull'operare umano. Dunque il timore avrà libero l'ingresso nella morale cristiana soprannaturale appunto come dono dello Spirito Santo.

Ed ecco che, per far eco a questa dottrina si levano uomini che osano dir chiaro che essi hanno paura, che considerano la paura come uno strumento di progresso morale, di santificazione; uomini che fanno della paura il pensiero ispiratore della loro vita, che hanno la religione della paura. Nondimeno questi uomini non sanno tremare davanti agli uomini; il giusto dell'antico poeta, justum et tenacem propositi virum [ Iustum et tenacem propositi virum/ non civium ardor prava iubentium,/ non voltus instantis tyranni/ mente quatit solida neque Auster,/ dux inquieti turbidus Hadriae,/ nec fulminantis magna manus Iovis:/ si fractus inlabatur orbis,/ inpavidum ferient ruinae (Orazio, Carm. III, 3, 1-8], non è che un bambino di fronte a questi grandi indipendenti; difatti, con il loro strano modo di procedere, essi giungono a rappresentare i tipi più sublimi della morale umana divinizzata dalla rivelazione di Dio. Sono i Santi più puri, più potenti, più soavi.

Eccone tre, scelti nella famiglia del santo Dottore, del Dottore del Dono del Timore: S. Lodovico Bertrando [Luigi Bertrando, in spagnolo Luis Beltrán (Valencia, 1º Gennaio 1526 – Valencia, 9 ottobre 1581), fu un religioso e missionario spagnolo, svolse il suo apostolato tra gli indigeni dell'America centrale e meridionale; è stato proclamato santo da papa Clemente X nel 1671], S. Vincenzo Ferreri [o anche Vincenzo Ferrer, in spagnolo Vicente Ferrer, (Valencia, 23 gennaio 1350 – Vannes, 1419), religioso spagnolo che si adoperò particolarmente per la composizione dello scisma d'Occidente; è stato proclamato santo da papa Callisto III nel 1455.] e S. Rosa da Lima [Rosa di Santa Maria, al secolo Isabel Flores de Oliva (Lima 20 aprile 1586 – Lima, 24 agosto 1617), è stata una religiosa peruviana del terz'ordine domenicano; è stata canonizzata nel 1671 da Papa Clemente X].

L'artista profondamente pio che meditò il commovente Mattutino della festa di S. Lodovico Bertrando, aveva forse letto l'articolo decimo della questione diciannovesima della Secunda secundae? [“ duplex est timor Dei, sicut dictum est, unus quidem filialis, quo quis timet offensam ipsius vel separationem ab ipso; alius autem servilis, quo quis timet poenam.

San Lodovico Bertrando ritratto da Zurbarán

Timor autem filialis necesse est quod crescat crescente caritate, sicut effectus crescit crescente causa, quanto enim aliquis magis diligit aliquem, tanto magis timet eum offendere et ab eo separari. Sed timor servilis, quantum ad servilitatem, totaliter tollitur caritate adveniente, remanet tamen secundum substantiam timor poenae, ut dictum est. Et iste timor diminuitur caritate crescente, maxime quantum ad actum, quia quanto aliquis magis diligit Deum, tanto minus timet poenam. Primo quidem, quia minus attendit ad proprium bonum, cui contrariatur poena. Secundo, quia firmius inhaerens magis confidit de praemio, et per consequens minus timet de poena ” (Summa theol., 2-2, q. 19, a. 10, co.)]

L'inno comincia con una intraducibile risonanza dei sospiri e delle discipline di cui occupava le sue notti:

Nocturna coeli lumina,

Suspiriorum conscia,

Quae Ludovicus aetheri

Mittebat inter verbera ...

[Plagas cruentas dicite,/ Flagella, sulcos, vulnera,/ Quae Sanctus ultro proprium/ Vibrabat in corpusculum./ Fluxit pavimento cruor,/ Cellae madebat ambitus,/ Postquam supina ligneus/ Luxarat ossa lectulus./ Sed tunc flagellis lividum/ Superna lux circumdabat:/ Divaeque binae debilem/ Castis levabant brachiis./ Laus et perenni gloria/ Deo Patri cum Filio/ Et utriusque Spiritu,/ In sempiterna saecula./ Amen]

Le antifone, i responsori, le lezioni cominciano allora una strana armonia a cui s'intrecciano queste parole: tribolazione disciplina, cilicio, digiuno, penitenza, morte... Qua e là fendono la salmodia gridi più vibranti, più acuti: «O Signore, qui brucia, qui taglia, qui non risparmiare, affinché nell'eternità tu perdoni!» [Castigo corpus meum, et in servitutem redigo: Ne forte cum aliis paedicaverim, ipse reprobus efficiar. Domine, hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas. (responsorio del II notturno)].

Il timore raggiunse mai un'espressione più straziante? Eppure, parallelamente a questi gemiti del timore, si svolge il canto della sfida e dell'intrepidezza. «Egli non temeva le popolazioni selvagge la cui moltitudine lo circondava; le pietre, le zagaglie, le frecce non gli facevano paura» [Non timebat milia populi se circumdantis, non saxa, clavas, jacula, zelus evangelizantis (antifona del I notturno)]. Sulle labbra del Santo si pongono le parole dell'Apostolo: «Se piacessi ancora agli uomini, non sarei servo di Cristo» [Si adhuc hominibus placerem, Christi servus non essem . (responsorio della VII lettura, citazione di Galati 1,10: modo enim hominibus suadeo aut Deo aut quaero hominibus placere? Si adhuc hominibus placerem Christi servus non essem)]. Poi, i due canti, quello del timore di Dio e quello del disprezzo del mondo, finiscono con l’armonizzarsi in uno solo, il canto della Carità: con esso la mortificazione si trasfigura. «Concedimi, o Signore, di morire per te, come tu sei morto per me» [Da mihi, Domine, ut ego moriar pro te, sicut tu dignatua es mori pro me. (responsorio dell’VIII lettura)]. E il Mattutino termina con un grido di trionfo, in cui tutta l'asprezza delle onde impetuose della penitenza viene a spirare sulle rive incantevoli della gloria: «Tu, o Signore, hai spezzato il mio cilicio,e m'hai circondato di gioia, affinché la mia gloria a te canti» [Conscidisti saccum meum, et circumdedisti me laetitia: ut cantet tibi gloria mea (responsorio della IX lettura; tutte le citazioni sono tratte dall’ufficio liturgico di S. Lodovico Bertrando, Breviarium juxta ritum Ordinis Praedicatorum) ].

San Vincenzo Ferreri in un ritratto di Giovanni Bellini

Se S. Lodovico Bertrando figura il dono del timore a servizio della mortificazione personale, S. Vincenzo Ferreri rappresenta il dono del timore operante, e, per così dire, apostolo. A questo predicatore non basta aver paura di Dio, ma vuole che con lui tremi tutta la terra.

Terribile santo! la sua parola è tutta ordinata al fine di produrre lo spavento.
Il volto vendicatore di Cristo veniente sulle nubi del cielo è la sua devozione preferita.
Il suo vangelo è il vangelo della fine del mondo.

La sua meditazione ne visse anticipatamente tutti i castighi: impallidì dinanzi a tutte le sue giustizie. Egli è terrificante a forza di essere terrificato.
Come il viaggiatore che nella notte costeggia le rive della Sicilia vede la sommità delle montagne imporporarsi di un fuoco tetro che riflette i fulgori nascosti dell'Etna, così la fronte di quest'uomo, sollevato dallo Spirito a quell'altezza da cui si scoprono gli orizzonti invisibili della giustizia di Dio, riflette anticipatamente le fiamme vendicatrici dell'inferno.
Si libra così in alto sulla cattedra da cui predica, la sua voce ha un accento così penetrato, così terribile, che si esita a crederlo un uomo.

La sua voce è la tromba che viene a ridestare i vivi e i morti.
E' l'Angelo del giudizio finale.

 

S. Rosa da Lima in un ritratto di Claudio Coello

Con S. Lodovico Bertrando, con S. Vincenzo Ferreri, il dono del timore non è ancor rivelato tutto quanto. Il timore mortificato del primo è la radice dell'albero che scava il suolo con un lavorio oscuro e fecondo: il timore attivo del secondo, è il tronco dalla scorza rugosa, dal succo abbondante; ma in S. Rosa da Lima, il timore è il fiore che spande attorno la lei il suo profumo e sembra un discreto e supremo omaggio all'invisibile bellezza del Creatore.

Tuttavia non crediate di trovare in S. Rosa da Lima qualcosa che rassomigli alla mollezza o all’affettazione. La nostra piccola suora è una rigida santa. E la sua mortificazione non la cede a quella dei suoi terribili confratelli.
Ma, sul tronco robusto del timore espiatore, ella solleva in tutto il suo splendore il fiore delicato e tremulo del timore filiale, di quel timore che, secondo S. Tommaso, nulla tanto paventa quanto di non sottomettersi abbastanza a Dio. Come la rosa sbocciata, che invisibili brezze agitano in un raggio di sole sulla cima del suo gambo, così S. Rosa da Lima davanti al suo Signore, nel giardino dei Santi! E come la rosa par che riassuma nei suoi vividi colori e nel suo impareggiabile profumo le più luminose e calde energie del sole, così questa rosa mistica vede espandersi in sé il compendio della luce e del calore che lo Spirito Santo infonde nell'anima dei Santi. E' la purezza insaziabile; è l'umiltà che incessantemente si elabora e si riforbisce; è l'orazione sempre fervente; è, in ogni ordine di virtù, un bisogno di finito, o d'infinito, come si vuole, perché qui è tutt'uno: sono perpetue ascensioni verso la rassomiglianza del Padre Celeste; è una viva sollecitudine di non perdere di vista nessuno dei lineamenti della sua immagine; è una deliziosa inquietudine per riprodurli; è una ricerca delicata di tutte le sfumature dell'ideale soprannaturale; è il timore, in una parola, il timore filiale di Dio, timore senza terrore, timore rassicurato nel suo fondo, perché si sente fatto d'amor di Dio, perché quello che la tormenta è di non fare abbastanza per Dio, e di restar sempre, nonostante i suoi sforzi, ad una distanza infinita dalla divina beltà del volto del Padre che regna nei Cieli.