VI
Il Dono della Scienza
S. DOMENICO
SAN GIACINTO


Il dono dell'apostolo non è il dono del dottore.

Il dottore studia e insegna una scienza impersonale. Il suo scopo è la verità per la verità. Egli ricerca nella loro più alta sorgente la ragione d'essere delle cose; e se, sopra queste cime, incontra Dio, è perché Dio è la causa delle cause, la ragione ultima della grazia e della natura. Lo Spirito Santo, diventando per i doni la regola immediata dell'intelletto del dottore, non cambia quello che è nella natura delle cose. Mediante il dono della Sapienza egli aumenta la portata della ragione; illumina la fede; dà modi di compiere il loro ufficio sublime, con una sicurezza e un'altezza, partecipate direttamente dall'Intelletto divino. A questo dono appunto S. Tommaso dovrà quel giudizio, divinamente retto e sagace, che l’accompagna da un capo all'altro dell'opera sua, e finisce col far irradiare, sopra il complesso e sopra i particolari di tutte le verità, naturali o soprannaturali, la prima Verità, Dio, la Trinità.

La scienza dell'apostolo invece non potrebbe astrarre dalle anime che essa è destinata a convertire. Non sono sempre le verità più alte che vanno più diritto al fine. E che m'importa la vostra metafisica e la ricerca dell'ultima parola delle cose, se non vi comprendo? Che cosa avete ottenuto, se la provocante e inopportuna evocazione di una verità troppo crudamente predicata esaspera la mia debolezza? Le anime a cui si rivolge l'apostolo sono ingolfate nella vita pratica, nei suoi errori intellettuali e morali. Non sono abituate a giudicare delle cose per le ragioni superiori. Bisogna prenderle dove si trovano. Se volete farle salire a Dio, abbiate anzitutto un'esatta cognizione di ciò che le preoccupa, dei mali, degli errori in cui si dibattono. Non dovete più guardare in se stessa la verità divina, quando siete chiamati al ministero dell'apostolato; dovete conoscerla nelle sue attinenze con le creature; dovete appigliarvi alle ragioni che, di solito, convincono le anime a cui vi rivolgete, quantunque esse non siano le più profonde. S. Ambrogio dice (35): «Guarda attentamente come Cristo sale con gli apostoli e come discende verso le turbe. Come potrebbe la turba veder Cristo, se egli non discendesse? Essa non segue sulle vette, non sale sulle cime». Ora il dono dello Spirito Santo che comunica alle anime giuste questo senso divino delle cose umane, dei motivi e delle ragioni tratte dalle creature, punto di appoggio necessario all'apostolo, secondo S. Tommaso, è il dono della Scienza. Esso differisce dal dono della Sapienza in questo che, invece di farci giudicare delle cose dal punto di vista di Dio, preso in tutta la sua inaccessibile profondità, ci presenta la luce da questo medesimo punto di vista, riflessa nelle creature, filtrata, per così dire, e adattata all'uso di tutte le anime di buona volontà (36).

S. Domenico adora il Crocifisso, affresco del Beato Angelico

L'apostolico S. Domenico [Domenico di Guzmán, Domingo o Domínico in spagnolo (Calaroga -Caleruega, 1170 - Bologna 6 agosto 1221), fondatore dell'Ordine dei Frati Predicatori; è stato proclamato santo dal papa Gregorio IX nel 1234] era destinato a rappresentare in modo speciale questo dono degli Apostoli. Sia che noi consideriamo la sua vocazione, i libri da cui attinse la sua scienza, o lo strumento del suo apostolato, il suo ministero e tutta la sua vita ci appaiono segnati dall'impronta del dono della Scienza.

La sua vocazione si lascia già scorgere in questo lontano episodio della sua vita di studente. Una carestia devastava Palencia. Domenico vendette i suoi libri, che erano il suo tesoro, dicendo: «Come potrei studiare sopra pelli morte, mentre tanti muoiono di fame?». Se un giorno un flagello più terribile, il flagello dell’errore che avvelena le anime, si rivela ad un cuore così disposto da Dio, tutta la scienza che acquistò nei vent'anni della sua silenziosa preparazione si adatterà come da se stessa a salvarle. Vedetelo in quella notte in cui si rivela a lui la chiamata divina, in quella discussione con il suo ospite di Tolosa che egli si sforza di convertire. Il medesimo Spirito che gli traeva dal cuore compassionevole il grido della misericordia per gli affamati, lo anima adesso a «dare la conoscenza della salvezza al suo popolo» [per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza/ nella remissione dei suoi peccati (Luca 1,77)]. Conversando con lui, egli cerca ardentemente quali ragioni gli sono accessibili; s'informa del suo stato intellettuale e morale; vorrebbe scoprire l'idea comune, la verità ammessa da una parte e dall'altra, raggio di Dio conservato in una mente sviata, sulla quale egli s'appoggerà per risalire alla luce. In questo momento venderebbe senz'altro, come pelli morte, tutta la scienza acquistata con il lavoro e con la meditazione di vent'anni, per trovare la parola che convincesse, la parola decisiva che liberasse e saziasse quest'anima.

Tuttavia la scienza non si potrebbe alimentare senza libri. Vi è un modo di intendere lo studio che non è sterile, e vi sono libri che si prestano maggiormente alle ispirazioni del dono della Scienza. Quali erano dunque i libri di S. Domenico? I suoi storici ne nominano tre.

Sono anzitutto le Epistole di S. Paolo, dell'apostolo per eccellenza. Ora non è questo uno dei libri in cui il dono della Scienza splende maggiormente? Dove si può trovare una conoscenza più profonda, un sentimento più vissuto, delle miserie dell'uomo senza Dio e delle cause che gli impediscono di risalire a Dio? Se qualche volta l'Apostolo «parla della sapienza per i perfetti» [Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla (1 Corinzi 2,6)], quanto più sovente «attenua la sua voce», per timore di spaventare i piccoli? E quali slanci superbi quando, avendo cura delle anime di cui, nella compassione del suo cuore, ha preso sopra di sé tutte le infermità, si eleva, con esse, a Dio, attingendo dalla stessa povertà di cui soffrono le creature la ragione della loro liberazione! Quante volte S. Domenico dovette rileggere queste parole: «Ho riguardato tutte le cose come spazzatura, per guadagnare Cristo!»[(Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo (Filippesi 3,8)]. Con quale accento non doveva ripetere il grido del suo maestro preferito: «Sono certo che né la vita, né la morte... né le cose presenti, né le future, né la forza, né la grandezza, né alcuna creatura potrà separarmi dall'amore di Dio che è in Cristo!» [Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (Romani 8,38-39)]. Che luce sopra la loro vita, per le anime che ascoltavano una parola così profondamente compenetrata della vanità delle cose che le trattenevano nei vizi della carne o negli errori della mente!

Il suo secondo libro era il Vangelo di S. Matteo, vale a dire il Vangelo dell'Umanità di Nostro Signore, quello in cui il Salvatore discese più alla nostra portata. Egli ne predicava la divina pietà, le guarigioni senza numero, le misericordie immense. «Ti legherai gli insegnamenti della legge alla mano come per memoria e li avrai pendenti dinanzi agli occhi» [Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi (Deuteronomio 6,8)]. E' questo un precetto del Deuteronomio che S. Tommaso annette al dono della Scienza (37). Così faceva, alla lettera, S. Domenico sulla strada, per la quale camminava da solo, con il suo S. Matteo in mano; i suoi compagni lo vedevano fare gesti frequenti, come se volesse allontanare un ostacolo che lo distogliesse dalle sue meditazioni, «e attribuivano a questa meditazione familiare dei sacri testi l'intelligenza meravigliosa che n'aveva acquistata».

Il terzo libro di S. Domenico era un libro singolare e che non somigliava agli altri due. Un giorno che gli si domandava donde avesse imparato tutto quello che sapeva: «Figlio mio - rispose - io non ho altro libro che quello della divina carità». Ad essa infatti bisogna risalire per trovare il segreto di una divina scienza del cuore, come quella di cui tutta la sua vita è improntata. Per acquistare questo accento, bisogna rivivere la nostra scienza nel seno stesso di quell’aspirazione potente verso Dio e verso le anime in Dio, che lo Spirito Santo; che ci è donato con essa, diffonde in noi; bisogna pervadere le nostre idee e la nostra parola di questo bisogno del bene divino, deposto in fondo al cuore di tutti i cristiani; bisogna sentire e vivere questo bisogno per sé e per quelli ai quali si deve parlare. Allora è lo Spirito Santo stesso, nascosto in questa aspirazione animata dal suo soffio, che parla nell' Apostolo. E tale fu il segreto della scienza del nostro beato Padre Domenico.

Il suggello del dono della Scienza si rinviene ancora nel grande strumento dell'apostolato di S. Domenico: il Rosario. Ciò che fa del Rosario una leva così potente, è il suo punto d'appoggio, scelto con una meravigliosa conoscenza dell'organizzazione della nostra natura umana. Il Rosario viene a prenderci dove noi ci dibattiamo, nelle gioie mondane, a volte pericolose, nelle tristezze spesso irragionevoli, qualche volta opprimenti, quasi sempre mal sopportate; nelle speranze terrene d'ogni natura. La gioia, la tristezza, la speranza, tali sono veramente le tre rive sulle quali l'anima nostra va a sbattere alternativamente. Domenico lo capì, e in questi tre sentimenti, con un'ammirabile giustezza di sguardo, vide racchiusa tutta la vita umana. Allora, dolcemente, sollevò questa povera vita verso gioie, tristezze, speranze migliori; egli non ci schiaccia con lo splendore del Sinai o del Tabor. Ci attrae con lo spettacolo di gioie santamente intese, di tristezze divinamente sopportate, di speranze vere. Senza negare i turbamenti dell'anima, li calma, li trasforma, li solleva a poco a poco. E le preghiere soavi del Padre Nostro e dell'Ave Maria intanto si elevano come una musica d'amore, che ad ogni ripresa accentuasse la sua insistenza. Che scienza delle cose divine, del cuore umano e del segreto del loro adattamento ci volle per comporre il Rosario! Chi dunque seppe ai bisogni più umani proporzionare i rimedi più divini, e riunire gli uni agli altri, con il vincolo più efficace è più consolante, la preghiera, e quale preghiera! Chi, se non il discepolo ispirato di Colui che, essendo Dio e avendo creato l'uomo, sa ad un tempo tutto quello che Dio può essere per l'uomo e qual bisogno l'uomo ha di Dio?

Cosicché, in tutta la vita del nostro beato Padre, noi troviamo «quel modo di capire e di sperimentare le creature, il quale fa sì che noi le disprezziamo nelle loro seduzioni, e le amiamo con moderazione ordinandole a Dio»(38), caratteristica del dono della Scienza. Ma un segno più evidente, più definitivo, se così posso dire, di quest'appropriazione, ci è dato da un altro dono del nostro santo: il dono delle lacrime.

S. Tommaso annette al dono della Scienza la beatitudine delle lacrime: Beati quelli che piangono perché saranno consolati. La ragione che porta è notevole. La scienza differisce dalla sapienza in questo che essa, per giudicare delle cose, ricorre a ragioni umanamente accessibili, mentre la sapienza risale fino alle ragioni ultime delle cose. Ora, quando si vedono le ragioni ultime delle cose, che in realtà sono la volontà, la provvidenza, la sapienza, la bontà di Dio, ne risulta per l'anima un effetto di calma, di serenità, di pacificazione. Perciò la beatitudine dei pacifici sarà annessa al dono della Sapienza. Ma, quando si prende la scienza delle cose create per punto di partenza, sebbene la loro cognizione riveli un irradiamento che viene da Dio, pure le loro imperfezioni sono così numerose, e il male ha così spesso il sopravvento sul bene, che invincibilmente si mira con lacrime la triste situazione in cui ci troviamo e in cui si agitano i nostri compagni di viaggio. La scienza umana è madre di tutte le tristezze. Quanto più profonda è questa scienza, tanto più abbondanti sono le lacrime che fa versare: perché è la scienza delle nostre miserie (39). L'Ecclesiaste [o Qoelet, l’autore dell’omonimo libro dell’Antico Testamento] piangeva sopra la vita umana che egli aveva conosciuta profondamente. L'Apostolo ispirato dal dono di Dio, piange a sua volta sentendo in quali miserie si trovino le anime che vuole salvare.

Ora S. Domenico piangeva spesso. Uno dei testimoni nel processo della sua canonizzazione dice: «Egli aveva una carità così grande per le anime, che si estendeva non solo a tutti i fedeli, ma anche agli infedeli e a quelli stessi che giacciono nei tormenti dell'inferno, e versava per loro abbondanti lacrime». [“Il avait une charité si grande pour les âmes - dit un des témoins dans le procès de sa canonisation - qu'elle s'étendait non-seulement à tous les fidèles, mais aux infidèles, et à ceux-là mêmes qui sont dans les douleurs de l'enfer, et il versait pour eux beaucoup de larmes (Actes de Bologne, déposition de frère Ventura, n. 9)”; citato in: Henri-Dominique Lacordaire, Vie de Saint Dominique, Paris, Librairie Poussielgue Frères, 18717, pag. 234 ].

Spesso piangeva sul pulpito, «e generalmente era pieno di quella malinconia soprannaturale che viene dal sentimento profondo delle cose invisibili. Quando scorgeva da lontano i tetti fitti di una città o di un borgo, il pensiero delle miserie degli uomini e dei loro peccati lo sprofondava in una riflessione triste, il cui contraccolpo gli appariva presto sul volto »(40). ­ «Offriva il santo sacrificio con una grande abbondanza di lacrime... Quando il corso delle cerimonie gli annunziava Colui che, fin dai suoi più teneri anni, aveva amato di preferenza, lo si scorgeva dall'emozione di tutto il suo essere; una lacrima non aspettava l'altra sul suo volto raggiante »(41).

Noi potremmo moltiplicare questi tratti. La fisionomia di S. Domenico deve a questo dono speciale delle lacrime, che è l'effetto del dono della Scienza, il suo carattere particolarmente tenero. Questo santo è un sapiente che piange. Noi conoscevamo le lacrime del pentimento e le lacrime dell'amore; qui abbiamo le lacrime d'un uomo, il quale in grazia di un dono intellettuale eminente, essendo profondamente penetrato nella scienza vera del mondo, degli uomini e di Dio, allo spettacolo di questa miseria e di questa bontà, passa gettando sul mondo uno sguardo in cui la tenerezza gareggia con la serenità, e la tristezza della terra con le consolazioni del cielo.

Così lo rappresentano i marmi della sua tomba, le immagini tradizionali, il pennello del Beato Angelico. Ma ai suoi figli spetta di essere le copie viventi dell'ineffabile espressione del beato patriarca.

S. Giacinto in un ritratto di Ludovico Carracci

Tal fu specialmente quel discepolo preferito, il grande apostolo della Polonia, S. Giacinto [San Giacinto Odrovaz, in polacco Jacek (Kamień Śląski, 1185 - Cracovia, 15 agosto 1257), religioso polacco; è stato proclamato santo da papa Clemente VIII nel 1594 ]! L'aveva rivestito di sua mano. dell'abito dell'Ordine. In S. Giacinto, noi ritroviamo il medesimo amore della scienza sacra, il medesimo culto della SS. Vergine, il medesimo zelo per la salvezza delle anime, il medesimo sguardo sopra gli uomini, triste e consolato, triste per la compassione che prova alla vista delle loro miserie, consolato per la scienza delle divine misericordie. Qualcosa del Padre passò nell'anima del figlio insieme con l'abito di cui l'aveva rivestito. Pare che la Madre del Salvatore, la Vergine diletta di S. Domenico abbia voluto consacrare questa filiazione ricevendo S. Giacinto in cielo il giorno stesso in cui la Chiesa celebra il Suo proprio ingresso in cielo e la sua gloriosa Assunzione.

Ma non solo i santi canonizzati, anche i semplici fedeli invita S. Domenico a riprodurre i caratteri della sua santità. Qualunque sia la parte che la nostra vita dà alla scienza, quando pure non avessimo altro patrimonio che il catechismo e l'esperienza degli uomini e delle cose che porta con sé la vita, ricordiamoci che una tale scienza può diventare lo strumento dello Spirito Santo. Vi è in noi una corrente intima, una tendenza profonda che, uscita da Dio, ci riconduce a Dio. Rendiamoci consci di questo movimento che è l’anima della nostra vita, e domandiamo a Dio, che abita in noi, che lo volga in cognizione ogni giorno più profonda di quello che siamo noi e di quello che è Dio. Era la preghiera di S. Agostino: «Signore, che io conosca me e conosca te: conosca me per odiarmi, e conosca te per amarti!» [Citazione a memoria dell’inizio di una preghiera attribuita a S. Agostino, ma probabilmente scritta da altri componendo un florilegio di frasi agostiniane: Domine Jesu, noverim me, noverim te,/ Nec aliquid cupiam nisi te./ Oderim me et amem te./ Omnia agam propter te...].

Ecco la vera scienza, la scienza completa, la scienza dei santi. Essa non è senza tristezza per la natura. Ma la santa figura del nostro beato Padre ci dice che essa ha pure le sue consolazioni; e ci appare come la conferma vivente della sentenza del Salvatore:

«Beati quelli che piangono, perché saranno consolati».


NOTE

(35) “Adverte omnia diligenter, quomodo et cum apostolis ascendat, et descendat ad turbas. Quomodo enim turba nisi in humili Christum videret? Non sequitur ad excelsa, non ascendit ad sublimia.” (S. Ambrogio, Expositio Evangelii Secundum Lucam Libris X Comprehensa, lib. 5,46).
(36) “Quia igitur nomen scientiae importat quandam certitudinem iudicii, ut dictum est; si quidem certitudo iudicii fit per altissimam causam, habet speciale nomen, quod est sapientia, dicitur enim sapiens in unoquoque genere qui novit altissimam causam illius generis, per quam potest de omnibus iudicare. Simpliciter autem sapiens dicitur qui novit altissimam causam simpliciter, scilicet Deum. Et ideo cognitio divinarum rerum vocatur sapientia. Cognitio vero rerum humanarum vocatur scientia, quasi communi nomine importante certitudinem iudicii appropriato ad iudicium quod fit per causas secundas. Et ideo, sic accipiendo scientiae nomen, ponitur donum distinctum a dono sapientiae. Unde donum scientiae est solum circa res humanas, vel circa res creatas.” (Summa Theol., 2-2, q. 9, a. 2, co.)
(37) “circa scientiam et intellectum tria possunt considerari, primo quidem, acceptio ipsius; secundo, usus eius; tertio vero, conservatio ipsius. Acceptio quidem scientiae vel intellectus fit per doctrinam et disciplinam. Et utrumque in lege praecipitur. Dicitur enim Deut. VI, erunt verba haec quae ego praecipio tibi, in corde tuo, quod pertinet ad disciplinam, pertinet enim ad discipulum ut cor suum applicet his quae dicuntur. Quod vero subditur, et narrabis ea filiis tuis, pertinet ad doctrinam. Usus vero scientiae vel intellectus est meditatio eorum quae quis scit vel intelligit. Et quantum ad hoc subditur, et meditaberis sedens in domo tua, et cetera. Conservatio autem fit per memoriam. Et quantum ad hoc subdit, et ligabis ea quasi signum in manu tua, eruntque et movebuntur inter oculos tuos, scribesque ea in limine et ostiis domus tuae. Per quae omnia iugem memoriam mandatorum Dei significat, ea enim quae continue sensibus nostris occurrunt, vel tactu, sicut ea quae in manu habemus; vel visu, sicut ea quae ante oculos mentis sunt continue; vel ad quae oportet nos saepe recurrere, sicut ad ostium domus; a memoria nostra excidere non possunt. Et Deut. IV manifestius dicitur, ne obliviscaris verborum quae viderunt oculi tui, et ne excidant de corde tuo cunctis diebus vitae tuae. Et haec etiam abundantius in novo testamento, tam in doctrina evangelica quam apostolica, mandata leguntur” (Summa Theol., 2-2, q. 16, a. 2, co.).
(38) “Unde affectus ille connaturalizatur atque unitur Deo et experimentalem gustum de Deo habet, sed simul etiam habet gustum et experientiam de creaturis, formatque iudicium rectum de illis, tum ad contemnendum, ne ab illis inordinate ducatur, tum ad diligendum moderate, ordinando illas in Deum.” (Joannis a Sancto Thoma, in portoghese João Poinsot, Cursus Theologicus, 1-2, q. 70, disp. 18, a. 4, 57).
(39) “ad scientiam proprie pertinet rectum iudicium creaturarum. Creaturae autem sunt ex quibus homo occasionaliter a Deo avertitur, secundum illud Sap. XIV, creaturae factae sunt in odium, et in muscipulam pedibus insipientium, qui scilicet rectum iudicium de his non habent, dum aestimant in eis esse perfectum bonum; unde in eis finem constituendo, peccant et verum bonum perdunt. Et hoc damnum homini innotescit per rectum iudicium de creaturis, quod habetur per donum scientiae. Et ideo beatitudo luctus ponitur respondere dono scientiae” (Summa Theol., 2-2, q. 9, a. 4, co.).
(40) “et généralement il était rempli de cette mélancolie surnaturelle que donne le sentiment profond des choses invisibles. Quand il apercevait de loin les toits pressés d'une ville ou d'un bourg, la pensée des misères des hommes et de leurs péchés le plongeait dans une réflexion triste dont le contre-coup apparaissait aussitôt sur son visage” (Henri-Dominique Lacordaire, Vie de Saint Dominique, Paris, Librairie Poussielgue Frères, 18717, pag. 248).
(41) “Tous les jours, à moins qu'une église ne lui manquât , il offrait à Dieu le saint sacrifice avec une grande abondance de larmes; car il lui était impossible de célébrer les divins mystères sans attendrissement. Lorsque le cours des cérémonies lui annonçait l'approche de Celui qu'il avait aimé de préférence dès ses jeunes années, on s'en apercevait à l'émotion de tout son être; une larme n'attendait pas l'autre sur son visage pâle et rayonnant” (Ibid., pagg. 245-246).