VII
Il Dono dell'Intelletto
S. CATERINA DA SIENA

S. Caterina da Siena in un ritratto di Giovanni di Paolo

Il B. Raimondo da Capua racconta che Nostro Signore apparve un giorno a Santa Caterina da Siena [nata Caterina Benincasa (Siena, 25 marzo 1347 - Roma, 29 aprile 1380), appartenente al Terzo Ordine delle Domenicane; canonizzata da papa Pio II nel 1461, nel 1970 è stata dichiarata Dottore della Chiesa da papa Paolo VI; è patrona d'Italia e compatrona d'Europa] mentre faceva orazione, e le disse: «Sai tu, figlia mia, chi sei tu e chi sono io? Se sai queste due cose, sarai felice: tu sei quella che non sei, ed io sono Colui che sono »(42).

Questo tratto ci dà, crediamo noi, la caratteristica del dono che lo Spirito Santo fece alla nostra santa sorella. Questo dono è quello dell'Intelletto.

Vi sono quattro doni intellettuali: la Scienza, la Sapienza, il Consiglio, l'Intelletto. I primi prendono in noi la forma del lavoro della mente umana, del ragionamento; ma il dono dell'Intelletto si presenta come una semplice intuizione, come una veduta della mente che passa attraverso le apparenze; sotto la lettera, sotto i simboli, penetra il senso nascosto e, da ogni cosa, fa scaturire il pensiero latente (43).

«L'anima dunque lasciando il ragionamento - scrive Bossuet - si serve di una dolce contemplazione che la mantiene pacifica, attenta e suscettibile delle operazioni e delle impressioni divine, che lo Spirito Santo le comunica: essa fa poco e riceve molto: il suo lavoro è dolce e nondimeno più fruttuoso». Qual è questo lavoro? - «Una semplice veduta, sguardo o attenzione amorosa in sé verso qualche oggetto divino»(44).

Ecco senza dubbio perché Dio scelse, nel nostro Ordine, una santa e non un santo, per personificare in un modo più speciale (del resto per nulla esclusivo) il dono dell'Intelletto. Agli uomini, nei quali il rigore del ragionamento è la nota intellettuale dominante, si addicono i doni che si annettono alla ragione: a S. Domenico la Scienza, a S. Tommaso la Sapienza, a S. Antonino il Consiglio. A una donna, natura più intuitiva, più spontanea, più istintiva, conviene il dono che ha più dell'istinto, del sentimento, perché, se le proposizioni si concludono, «i principii si sentono...».

Certo la natura non potrebbe, per se stessa, conoscere intuitivamente la Verità di Dio, principio dei principii, che definì se stesso: Io sono Colui che sono. Ma perché questo Dio, che ripone la sua gloria nel perfezionar la natura (senza dubbio per far meglio risaltare con il confronto lo splendore dei suoi doni gratuiti), non si sarebbe rivelato a una santa in un modo appropriato alle tendenze del suo sesso, cioè come un principio la cui verità richiede di essere sentita piuttosto che ragionata, come «un Dio sensibile al cuore»(45)?

«Figlia mia, tu sei quella che non è, ed io sono Colui che sono». Non lunghi discorsi: la parola di Cristo porta la sua prova in se stessa: è concisa, è luminosa come un principio, si direbbe una di quelle sentenze del divin Maestro che riempiono il Vangelo.

«Oh! quanto grande è questa parola e com'è estesa questa dottrina così semplice - esclama il beato Raimondo da Capua. Che sapienza immensa in queste poche parole! Chi mi darà di intenderle? chi me ne rivelerà i segreti e me ne farà misurare l'infinito?» [O verbum abbreviatum et grande! o doctrina brevis, et quodammodo infinita! o immensa sapientia, syllabis admodum explicata brevibus! Quis mihi det, ut te intelligere valeam? quis mihi aperiet signacula tua? quis me deducet, ut tuam abyssalem profunditatem intuear? (Raimondo da Capua, Vita Sanctae Catherinae senensis (Legenda maior), 2,6; Vita, Auctore Fr. Raimundo Capuano... Ex editione Coloniensi collata cum MS, in: Acta Sanctorum, Aprilis, Tomus III, Anversa, Apud Michaelem Cnobarum, 1675, pag. 876)]. E, come per rilevare con il suo proprio esempio la differenza tra il genio proprio del teologo e il dono della santa, si diffonde in lunghi commenti su questa parola del Signore. Ma deve fermarsi senza averlo esaurito e riconoscere che tutto quello che potrebbe dire è noto a chiunque ha penetrato queste due parole: Tu sei quella che non è. Io sono Colui che sono.

No, il ragionamento non potrebbe misurarne l'infinito. Chi dunque, ancora una volta, ci darà di comprenderle? Sentiamo Bossuet: «Dio è Colui che è: tutto ciò che è ed esiste, è ed esiste per lui: egli è quell'Essere vivente nel quale tutto vive e respira... Si ha solo da consentire e da aderire alla verità dell'Essere di Dio: consentire alla verità, quest'atto solo basta. Badate che io dico consentire alla verità, poiché Dio è il solo Essere vero. Aderire alla verità, consentire alla verità, è aderire a Dio, è mettere Dio in possesso del diritto che egli ha sopra di noi. Questo atto solo comprende tutti gli atti; è il più grande, il più alto che possiamo fare»(46).

Solo l'intuizione penetra i principii: quando il divino si rivela a noi sotto questa forma abbreviata, conviene lasciare il ragionamento; bisogna, come dice ancora Bossuet, «risolversi interamente in uno sguardo semplice». Questo sguardo semplice è opera del dono dell'Intelletto.

Ma, si dirà, che cosa diventa, nelle chiarezze dell'intuizione, l'oscurità della fede? San Tommaso si fece questa domanda e rispose che vi sono due specie di oggetti proposti alla nostra fede: vi è anzitutto l'essere divino e i suoi misteri; poi un gran numero di verità ordinate alla manifestazione dei primi: la S. Scrittura è piena di questa sorta di verità che sono l'oggetto secondario della nostra fede (47).

Il dono dell'Intelletto può darci una conoscenza perfetta di queste ultime. Nella storia di S. Caterina, numerosi tratti ne fanno testimonianza, segnatamente quella meravigliosa penetrazione della S. Scrittura che palesano tutti i suoi scritti. Il versetto più noto, questo per esempio: Deus in adjutorium meum intende [Salmi 69,2] , diventa il soggetto delle sue replicate meditazioni. Il Salmo Jubilate Deo omnis terra [Salmi 65,1b] la solleva in rapimenti inesprimibili. Non la finirei, se volessi esplorare tutto questo lato intellettuale di S. Caterina. Citiamo solo un fatto: alcuni giorni prima della sua morte, disse «che al lume di una fede viva, aveva veduto e perfettamente compreso, nella sua mente, che tutto quello che accadeva a lei e agli altri veniva da Dio e aveva la sua causa nel grande amore che egli ha per le sue creature»(48). Il lume di una fede viva: così ­ e ne daremo subito un'altra prova - S. Caterina chiama continuamente il dono che produce le intuizioni della sua contemplazione. Le sue proprie parole dimostrano che questo lume si collega con l'oscurità inerente alla fede.

Di fronte all'Essere di Dio e dei misteri divini, la fede è completa. Nondimeno il dono dell'Intelletto, secondo S. Tommaso, ci fa penetrare più avanti nella cognizione del mistero stesso. Come ciò? Perché, ripiglia il nostro santo Dottore, è altresì un avanzarsi nel conoscimento di Dio il sapere quello che egli non è (49). L'autore dell'Imitazione di Cristo parla come San Tommaso: «E’ necessario - dice egli - levarsi sopra tutto il creato, e abbandonare perfettamente se stesso, e in tale elevazione di mente vedere che Tu, Creatore di tutte le cose, non hai nulla di simile alle creature»(50).

Così l'oscurità della fede rimane; ma, dal seno di questa oscurità, scaturisce una luce che, ponendo a riscontro della perfezione divina l'imperfezione di tutto ciò che è creato, dà una specie d'intuizione negativa e analogica dell'inaccessibile verità.

Ma a che pro tentare di definire questa divina contemplazione, quando possiamo vederla all'opera in S. Caterina da Siena: «O abisso, o Deità eterna, o mare profondo, potevi tu darmi più di te stesso?.. Tu sei il lume che eccede ogni lume, che dài, con il tuo lume, all'intelletto un lume soprannaturale così abbondante e così perfetto, che il lume della fede stessa è più rischiarato. Io vedo che l'anima mia ha la vita in questa fede, e che riceve il tuo lume in questo lume... Onde ti domando, o Padre eterno, che m'illumini con il lume della santa Fede. Questo lume è un oceano che nutre l'anima finché è in te... Là dove abbonda il lume della fede, l'anima risplende, per dire così, di quello che crede. O Trinità eterna, sì, tu me l'hai fatto conoscere e comprendere, questo mare è uno specchio che la mano del tuo amore tiene davanti agli occhi dell'anima mia; ed io, tua creatura, mi vedo in te nel lume di questo specchio; tu ti presenti a me, ed io riconosco che sei il Bene supremo e infinito, il Bene sopra ogni bene... La Bellezza sopra ogni bellezza, la Sapienza sopra ogni sapienza; perché tu sei la Sapienza stessa... Chi potrà elevarsi verso di te per ringraziarti degnamente del tesoro ineffabile e delle grazie sovrabbondanti che mi hai fatte e della dottrina di verità che mi hai rivelata? Questa dottrina è una grazia speciale sopra la grazia generale che concedi agli uomini» [“O abisso, o Deitá etterna, o mare profondo! E che piú potevi dare a me che dare te medesimo? Tu se’ fuoco che sempre ardi e non consumi; tu se’ fuoco che consumi nel calore tuo ogni amore proprio de l’anima; tu se’ fuoco che tolli ogni freddezza; tu allumini; col lume tuo m’hai facta cognoscere la tua veritá; tu se’ quello lume sopra ogni lume, col quale lume dái a l’occhio de l’intellecto lume sopranaturale, in tanta abondanzia e perfeczione che tu chiarifichi el lume della fede, nella quale fede veggo che l’anima mia ha vita, e in questo lume riceve te, lume. Nel lume della fede acquisto la sapienzia nella sapienzia del Verbo del tuo Figliuolo; nel lume della fede so’ forte, costante e perseverante; nel lume della fede spero:[406] non mi lassa venire meno nel camino. Questo lume m’insegna la via, e senza questo lume andarei in tenebre; e però ti dixi, Padre etterno, che tu m’alluminassi del lume della sanctissima fede. Veramente questo lume è uno mare, perché notrica l’anima in te, mare pacifico, Trinitá etterna. L’acqua non è turbida, e però non ha timore, perché cognosce la veritá; ella è stillata, ché manifesta le cose occulte; unde, dove abbonda l’abondantissimo lume della fede tua quasi certifica l’anima di quello che crede. Ella è uno specchio, secondo che tu, Trinitá etterna, mi fai cognoscere; ché, raguardando in questo specchio, tenendolo con la mano de l’amore, mi rapresenta me in te, che so’ creatura tua, e te in me, per l’unione che facesti della Deitá ne l’umanitá nostra. In questo lume cognosco e rapresentami te, sommo e infinito Bene: Bene sopra ogni bene, Bene felice, Bene incomprensibile e Bene inextimabile. Bellezza sopra ogni bellezza; sapienzia sopra ogni sapienzia, anco tu se’ essa sapienzia. Tu, cibo degli angeli, con fuoco d’amore ti se’ dato agli uomini. Tu, vestimento che ricuopri ogni nuditá, pasci gli affamati nella dolcezza tua. Dolce se’ senza alcuno amaro. O Trinitá etterna, nel lume tuo il quale desti a me, ricevendolo col lume della sanctissima fede, ho cognosciuto, per molte e admirabili dichiarazioni spianandomi, la via della grande perfeczione, acciò che con lume e non con tenebre io serva te, sia specchio di buona e sancta vita, e levimi dalla miserabile vita mia; ché sempre, per lo mio difecto, t’ho servito in tenebre. Non ho cognosciuta la tua veritá, e però non l’ho amata. Perché non ti conobbi? Perché io non ti viddi col glorioso lume della sanctissima fede, però che la nuvila de l’amore proprio obfuscò l’occhio de l’intellecto mio. E tu, Trinitá etterna, col lume tuo dissolvesti la tenebre. E chi potrá agiognere a l’altezza tua a rendarti grazie di tanto smisurato dono e larghi benefizi quanto tu hai dati a me, della doctrina della veritá che tu m’hai data? che è una grazia particulare, oltre alla generale, che tu dái a l’altre creature.” (S. Caterina da Siena, (Libro della divina dottrina volgarmente detto Dialogo della divina provvidenza, Nuova ed. secondo un inedito codice senese a cura di Matilde Fiorilli, Bari : Gius. Laterza, 1912; fonte della trascrizione elettronica: www.liberliber.it, Progetto Manuzio, cap. 167)].

Che differenza tra la fede ordinaria, sempre inferma e cercatrice (51), e questa fede fissa, anche intellettualmente, questa fede, diciamo la parola, che vede!

Ma come vede? Non potrebbe esser questione di una rivelazione del mistero che trasformi lo sguardo dell'intelletto in visione senza mescolanza ed escluda la fede. Donde viene dunque questa luce speciale che illumina il divino senza svelarlo?

Come abbiamo detto, è per il cuore che Dio compie, in questa vita, la divinizzazione della nostra stessa attività intellettuale. Lo Spirito Santo, per la carità, abita nei nostri cuori, e di lì fa irradiare i suoi doni (52). Non è già forse un effetto dell'amore umano rendere più intenso l'atto dell'intelletto applicato a conoscere l'oggetto che amiamo, fargli scorgere in parole, in gesti, in indizi insignificanti, un senso nascosto, eppure vero? Se l'amore ha di questi istinti, di queste divinazioni, equivalenti a lumi per la sicurezza della loro diagnostica, quando è abbandonato alle sue proprie forze, che sarà di un cuore che è sotto la dipendenza di Dio e del quale lo Spirito Santo si è costituito direttore, regolatore, guida di ogni istante! Come infallibili saranno questi divini impulsi! come è sicuro un tale istinto! come sono penetranti queste divinazioni! come è efficace nella sua dolcezza il lume così diffuso dallo Spirito Santo! Veni, lumen cordium!

«Questo atto - dice Bossuet - deve farsi senza sforzo, con un ritorno di tutto il cuore a Dio. Dev'essere - cerco un termine per spiegarmi - dev'essere affettuoso, tenero, sensibile. Mi comprendete bene? Ma comprendo bene io me stesso? Perché è un certo movimento del cuore che non è punto sensibile della sensibilità umana, ma che nasce da questa gioia pura dello spirito. E nondimeno rallegratevi e dite soltanto in ogni tempo: consento, o mio Dio, a tutta la verità del tuo essere; faccio mia felicità di quello che tu sei; ecco la mia beatitudine anticipata. E' il mio paradiso ora e sarà il mio paradiso nel paradiso. Amen (53)».

Questo atto luminoso e cordiale non è forse il fondo stesso dei ragionamenti e delle opere di S. Caterina? Essa vede perché ama. Non è più la semplice cognizione della fede: ama la verità che la cognizione della fede le dava; l'ha gustata, ed ora ritorna ad essa con uno sguardo mutato, con quello sguardo mutato di cui disse il profeta: Gustate prima, e poi vedete (54).

Ma non si ferma lì il dono dell'Intelletto. S. Tommaso ci avverte che è un dono speculativo e pratico ad un tempo e che la sua azione deve farsi sentire nella nostra vita. Bossuet dice ancora: «Se è vero, com'è verissimo, che noi siamo tanto più operanti quanto più siamo spinti, animati, mossi dallo Spirito Santo, quell'atto per il quale noi vi ci abbandoniamo, e l'azione che egli fa in noi, ci mette, per così dire, totalmente in azione per Dio»(55). S. Tommaso, in una sintesi precisa quanto stupenda, vide, nelle beatitudini del Vangelo riferite da S. Matteo, questa attività dei doni, e si studiò di mettere in luce la corrispondenza di ciascuna di queste beatitudini con un dono dello Spirito Santo. Al dono dell'Intelletto corrisponde questa: Beati quelli che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio. La purificazione del cuore è l'opera propria del dono dell'Intelletto in questa vita: il lume della visione è la ricompensa di questa purificazione meritoria, ricompensa, che, pur facendosi sentire fin da questa vita, non avrà il suo compimento che nell'eternità.

Questa corrispondenza dell'Intelletto e della purezza è un tratto fondamentale della vita di S. Caterina. La veggente estatica è anche il modello dei penitenti. E, in quanto a quest'altra sorta di purezza del cuore che è la professione, senza mescolanza di errori, della fede cattolica, chi la coltivò più di questa ardente apostola? Così, per veder meglio, ella purifica incessantemente il suo cuore con la penitenza e con la fuga dei pregiudizi mondani; e ogni grado di contemplazione conquistato le ispira idee di un maggiore distacco. E' nell'anima sua un lavoro a doppia azione, nel quale la luce provoca la purezza del cuore, e la purezza del cuore produce chiarezze crescenti. Proclamando il vincolo che unisce il dono dell'Intelletto alla Beatitudine dei cuori puri, S. Tommaso, con una parola, ha rivelato la sua vita (56).

Dottrina consolante! perché i doni dello Spirito Santo sono deposti, insieme con la grazia e con la carità, nell'anima di tutti i giusti (57). Spetta a noi, sotto l'azione della grazia, di usarne. Chi ci darà questa grazia? direte voi. Già l'avete, se la desiderate sinceramente, perché il vostro desiderio racchiude la preghiera di cui S. Agostino diceva: Se non sei ancora attratto, prega per essere attratto [“Semel accipe, et intellege: nondum traheris? Ora ut traharis” (In Evangelium Ioannis Tractatus centum viginti quattuor, 26,2)].

Dunque all'opera e dite: Io voglio usare di questo dono dell'Intelletto, che spero sia nell’anima mia per la grazia di Dio. Santa Caterina, aiutami.

Allora prendete la S. Scrittura, preferibilmente uno di quei passi che la Chiesa distacca nella liturgia e con cui essa fa vibrare l'anima interiore nelle melodie del canto gregoriano, oppure prendete i salmi; o, nel Vangelo, «le parole del Signore», verba Domini, come diceva S. Agostino, questa, per esempio: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: Dammi da bere» [Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva (Giovanni 4,10)] , o anche: «Bisogna che tu cresca ed io diminuisca» [Egli deve crescere e io invece diminuire (Giovanni 3,30)]. Poi, ritornate all'ospite interno, alla Trinità Santa, presente in voi per la grazia, oppure, se siete in chiesa, a Nostro Signore presente nel tabernacolo, e considerate quelle parole che avevate scelto come quelle che vi parlano del Dio che voi amate, come pronunziate in quell'istante medesimo per voi dal Dio che vive in voi. Gustate queste parole in questa presenza. E quando il movimento del vostro cuore si volgerà in contemplazione, voi scoprirete un'estensione, un'altezza, una larghezza, una profondità che prima non sospettavate, che la fede affatto nuda non vi mostrava, e di cui solo gli occhi del cuore, di un cuore in cui dovete sperare che abiti lo Spirito Santo, vi hanno dato l'intelligenza (58).

Noterete allora quanto il vostro sguardo è offuscato da imperfezioni a cui non fate abitualmente attenzione, dall'amor proprio, dai pregiudizi, dall'amore dei vostri comodi, dalle idee false e anticristiane, e finalmente da quella lega che l’oro stesso della vita pia contiene. Come a S. Caterina il dono dell'Intelletto ispirerà anche a voi l'odio santo di voi stessi. E voi vi rivelerete più forti e risoluti a considerare d’ora innanzi «le cose dolci come amare e le cose amare come dolci», a cagione di Nostro Signore, e per crescere, sotto la condotta del suo Spirito, nell'intelligenza dei consolanti misteri della nostra fede.


NOTE

(42) “Scisne, filia, quae tu es, et quis ego sum? Si haec duo noveris, beata eris. Tu enim es illa, quae non es; ego autem sum ille, qui sum” (Raimondo da Capua, Vita Sanctae Catherinae senensis (Legenda maior), 2,6; Vita, Auctore Fr. Raimundo Capuano... Ex editione Coloniensi collata cum MS, in: Acta Sanctorum, Aprilis, Tomus III, Anversa, Apud Michaelem Cnobarum, 1675, pag. 876).
(43) “Sunt autem multa genera eorum quae interius latent, ad quae oportet cognitionem hominis quasi intrinsecus penetrare. Nam sub accidentibus latet natura rerum substantialis, sub verbis latent significata verborum, sub similitudinibus et figuris latet veritas figurata: res etiam intelligibiles sunt quodammodo interiores respectu rerum sensibilium quae exterius sentiuntur, et in causis latent effectus et e converso. Unde respectu horum omnium potest dici intellectus. Sed cum cognitio hominis a sensu incipiat, quasi ab exteriori, manifestum est quod quanto lumen intellectus est fortius, tanto potest magis ad intima penetrare. Lumen autem naturale nostri intellectus est finitae virtutis, unde usque ad determinatum aliquid pertingere potest. Indiget igitur homo supernaturali lumine ut ulterius penetret ad cognoscendum quaedam quae per lumen naturale cognoscere non valet. Et illud lumen supernaturale homini datum vocatur donum intellectus” (Summa Theol., 2-2, q. 8, a. 1, co.).
(44) “une simple vue, regard ou attention amoureuse en soi vers quelque objet divin [...] L’âme quittant donc le raisonnement, se sert d’una douce contemplation qui la tient paisible, attentive et susceptible des opérations et impessions divines, que le Saint-Esprit lui communique: elle fait peu et reçoit beaucoup: son travail est doux et néanmoins plus fructueux” (Jacques Bénigne Bossuet, Manière courte et facile pour faire l'oraison en foi, et de simple présence de Dieu, in: Oeuvres complètes de Bossuet, Tomo III, Besançon, Outhenin-Chalandre Fils Editeur, 1836, pag. 501).
(45) “Le cœur a ses raisons, que la raison ne connaît point. On le sent en mille choses. C'est le cœur qui sent Dieu, et non la raison. Voilà ce que c'est que la foi parfaite, Dieu sensible au cœur” (Pascal, Pensées, n. 423-277).
(46) “Dieu est celui qui est: tout ce qui est et existe, est et existe, par lui: il est cet Etre vivant en qui tout vite t tout respire.. Il n’y a qu’a consentir et qu’a adhérer à la vérité de l’Etre de Dieu: conséntir à la vérité, cet acte seul suffit. Prenez garde que je dis consentir à la vérité, car Dieu est le seul Etre vrai. Adhérer à la véritè, consentir òà la vérité, c’est adhérer à Dieu, c’est mettre Dieu en possession du droit qu’il a sur nous. Cet acte seul comprend tous les actes; c’est le plus grand, c’est le plus élevé que nous puissions faire” (Jacques-Bénigne Bossuet, Discours aux Filles de la Visitation, sur la mort, le jour du décès de M. Mutelle, leur confesseur, in: Oeuvres complètes de Bossuet, Tomo III, Besançon, Outhenin-Chalandre Fils Editeur, 1836, pag. 544).
(47) “hic duplici distinctione est opus, una quidem ex parte fidei; alia autem ex parte intellectus. Ex parte quidem fidei, distinguendum est quod quaedam per se et directe cadunt sub fide, quae naturalem rationem excedunt, sicut Deum esse trinum et unum, filium Dei esse incarnatum. Quaedam vero cadunt sub fide quasi ordinata ad ista secundum aliquem modum, sicut omnia quae in Scriptura divina continentur. Ex parte vero intellectus, distinguendum est quod dupliciter dici possumus aliqua intelligere. Uno modo, perfecte, quando scilicet pertingimus ad cognoscendum essentiam rei intellectae, et ipsam veritatem enuntiabilis intellecti, secundum quod in se est. Et hoc modo ea quae directe cadunt sub fide intelligere non possumus, durante statu fidei. Sed quaedam alia ad fidem ordinata etiam hoc modo intelligi possunt. Alio modo contingit aliquid intelligi imperfecte, quando scilicet ipsa essentia rei, vel veritas propositionis, non cognoscitur quid sit aut quomodo sit, sed tamen cognoscitur quod ea quae exterius apparent veritati non contrariantur; inquantum scilicet homo intelligit quod propter ea quae exterius apparent non est recedendum ab his quae sunt fidei. Et secundum hoc nihil prohibet, durante statu fidei, intelligere etiam ea quae per se sub fide cadunt” (Summa Theol., 2-2, q. 8, a. 2, co.).
(48) “Item dixit quod per lumen vivae fidei, clare concepit et vidit in mente, quod quidquid accidebat sibi vel aliis, totum procederet a Deo, non ex odio, sed ex amore magno, quem habet ad creaturas suas” (Raimondo da Capua, Vita Sanctae Catherinae senensis (Legenda maior), 3,3; Vita, Auctore Fr. Raimundo Capuano... Ex editione Coloniensi collata cum MS, in: Acta Sanctorum, Aprilis, Tomus III, Anversa, Apud Michaelem Cnobarum, 1675, pag. 944).
(49) “duplex est Dei visio. Una quidem perfecta, per quam videtur Dei essentia. Alia vero imperfecta, per quam, etsi non videamus de Deo quid est, videmus tamen quid non est, et tanto in hac vita Deum perfectius cognoscimus quanto magis intelligimus eum excedere quidquid intellectu comprehenditur. Et utraque Dei visio pertinet ad donum intellectus, prima quidem ad donum intellectus consummatum, secundum quod erit in patria; secunda vero ad donum intellectus inchoatum, secundum quod habetur in via” (Summa Theol., 2-2, q. 8, a. 7, co.).
(50) “Oportet igitur omnem pertransire creaturam, et se ipsum perfecte deserere ac in excessu mentis stare, et videre te omnium Conditorem cum creaturis nil simile habere. Et nisi quis ab omnibus creaturis fuerit expeditus, non poterit libere intendere divinis. Ideo enim pauci inveniuntur contemplativi, quia pauci sciunt se a perituris creaturis ad plenum sequestrari” (De imitatione Christi, l. 3, c. 31, 1).
(51) Credere est cum assensione cogitare: “Cogitatio quippe nostra proveniens ad id quod scimus atque inde formata verbum nostrum verum est. Et ideo verbum Dei sine cogitatione debet intelligi, non aliquid habens formabile, quod possit esse informe. Et secundum hoc cogitatio proprie dicitur motus animi deliberantis nondum perfecti per plenam visionem veritatis. Sed quia talis motus potest esse vel animi deliberantis circa intentiones universales, quod pertinet ad intellectivam partem; vel circa intentiones particulares, quod pertinet ad partem sensitivam, ideo cogitare secundo modo sumitur pro actu intellectus deliberantis; tertio modo, pro actu virtutis cogitativae. Si igitur cogitare sumatur communiter, secundum primum modum, sic hoc quod dicitur cum assensione cogitare non dicit totam rationem eius quod est credere, nam per hunc modum etiam qui considerat ea quae scit vel intelligit cum assensione cogitat. Si vero sumatur cogitare secundo modo, sic in hoc intelligitur tota ratio huius actus qui est credere. Actuum enim ad intellectum pertinentium quidam habent firmam assensionem absque tali cogitatione, sicut cum aliquis considerat ea quae scit vel intelligit, talis enim consideratio iam est formata. Quidam vero actus intellectus habent quidem cogitationem informem absque firma assensione, sive in neutram partem declinent, sicut accidit dubitanti; sive in unam partem magis declinent sed tenentur aliquo levi signo, sicut accidit suspicanti; sive uni parti adhaereant, tamen cum formidine alterius, quod accidit opinanti. Sed actus iste qui est credere habet firmam adhaesionem ad unam partem, in quo convenit credens cum sciente et intelligente, et tamen eius cognitio non est perfecta per manifestam visionem, in quo convenit cum dubitante, suspicante et opinante. Et sic proprium est credentis ut cum assensu cogitet, et per hoc distinguitur iste actus qui est credere ab omnibus actibus intellectus qui sunt circa verum vel falsum.” (Summa Theol., 2-2, q. 2, a. 1, co.).
(52) Spiritus autem Sanctus habitat in nobis per caritatem, secundum illud Rom. V, caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum, qui datus est nobis, sicut et ratio nostra perficitur per prudentiam. Unde sicut virtutes morales connectuntur sibi invicem in prudentia, ita dona Spiritus Sancti connectuntur sibi invicem in caritate, ita scilicet quod qui caritatem habet, omnia dona Spiritus Sancti habet; quorum nullum sine caritate haberi potest” (Summa Theol., 1-2, q. 68, a. 5, co.).
(53) “cet acte doit être fait sans effort, par un retour de tout le coeur vers Dieu. Il doit être, je cherche un terme pour m’expliquer, il doit être affectueux, tendre, sensible. Me comprenez-vous bien? Mais me comprends-je bien moi-même? Car c’est un certain mouvement du coeur qui n’est point sensible de la sensibilité humaine, mais qui naît de cette joie pure de l’esprit. Et partant, réjouissez-vous et dites seulement en tout temps: Je consens, mon Dieu, à toute la vérité de votre être; je fais mon bonheur de ce que vous êtes; c’est ma béatitude anticipée; c’est mon paradis à présent et ce sera mon paradis dans le paradis. Amen.” (Jacques-Bénigne Bossuet, Discours aux Filles de la Visitation, sur la mort, le jour du décès de M. Mutelle, leur confesseur, in: Oeuvres complètes de Bossuet, Tomo III, Besançon, Outhenin-Chalandre Fils Editeur, 1836, pag. 544).
(54) “Et ideo ut ratio D. Thomæ concludat de dono intellectus, addendum est ex doctrina ejusdem sancti doctoris in secunda secundæ, quæst. VIII, art. II, quod donum intellectus de sua formali ratione ordinatur ad intelligendum clare, vel imperfecte, vel perfecte, non ad credendum sicut dicitur Psalm. XXXIII: Gustate et videte, quia super gustum, et experientiam fundatur evidentia, scilicet evidentia mystica, affectiva et experimentalis. Intelligere enim ut distinguitur a credere semper est cum aliqua evidentia, sive extrinseca, sive intrinseca, sive positiva, sive negativa. Quod autem in hac vita non perveniat ad perfectam visionem non est ex defectu propriæ rationis formalis, sed quia materia non est debite disposita ut videatur in se: Quia ambulamus per fidem et per speciem, sicut oculus ex ratione formali potentiæ visivæ solum petit evidentem, et experimentalem cognitionem objecti visibilis, per accidens tamen ex defectu applicationis objecti, et luminis, ut quia objectum non est in debita distantia, contingit confuse, et imperfecte videre. Donum ergo intellectus cum ex illustratione Spiritus sancti moveat mentem ad hoc ut recte penetret, et intelligat ea, quæ sibi proponuntur, de se et ex suo formali motivo evidentiam exigit, et facit eam, quam potest juxta propositam materiam, ita quod hic in via dum ambulamus per fidem, et res proponuntur ex auditu, solum facit evidentiam quasi extrinsecam, et negativam.” (cfr. Joannis a Sancto Thoma, in portoghese João Poinsot, Cursus Theologicus, 1-2, q. 70, disp. 18, a. 3, 37).
(55) “s’il l’est vrai, comme il l’est, que nous soyons d’autant plus agissants, que nous sommes plus poussés, plus mus, plus animés par le Saint-Esprit; cet acte par lequel nous nous y livrons, et à l’action qu’il fait en nous, nous met, pour ainsi parler, tout en action pour Dieu” (Jacques-Bénigne Bossuet, Discours sur l’acte d’abandon à Dieu, ses caractères, ses conditions et ses effects, in: Oeuvres complètes de Bossuet, Tomo III, Besançon, Outhenin-Chalandre Fils Editeur, 1836, pag. 516).
(56) “in sexta beatitudine, sicut et in aliis, duo continentur, unum per modum meriti, scilicet munditia cordis; aliud per modum praemii, scilicet visio Dei, ut supra dictum est. Et utrumque pertinet aliquo modo ad donum intellectus. Est enim duplex munditia. Una quidem praeambula et dispositiva ad Dei visionem, quae est depuratio affectus ab inordinatis affectionibus, et haec quidem munditia cordis fit per virtutes et dona quae pertinent ad vim appetitivam. Alia vero munditia cordis est quae est quasi completiva respectu visionis divinae, et haec quidem est munditia mentis depuratae a phantasmatibus et erroribus, ut scilicet ea quae de Deo proponuntur non accipiantur per modum corporalium phantasmatum, nec secundum haereticas perversitates. Et hanc munditiam facit donum intellectus” (Summa Theol., 2-2, q. 8, a. 7, co.).
(57) “dona sunt quaedam hominis perfectiones, quibus homo disponitur ad hoc quod bene sequatur instinctum divinum. Unde in his in quibus non sufficit instinctus rationis, sed est necessarius Spiritus Sancti instinctus, per consequens est necessarium donum. Ratio autem hominis est perfecta dupliciter a Deo, primo quidem, naturali perfectione, scilicet secundum lumen naturale rationis; alio modo, quadam supernaturali perfectione, per virtutes theologicas, ut dictum est supra. Et quamvis haec secunda perfectio sit maior quam prima, tamen prima perfectiori modo habetur ab homine quam secunda, nam prima habetur ab homine quasi plena possessio, secunda autem habetur quasi imperfecta; imperfecte enim diligimus et cognoscimus Deum. Manifestum est autem quod unumquodque quod perfecte habet naturam vel formam aliquam aut virtutem, potest per se secundum illam operari, non tamen exclusa operatione Dei, qui in omni natura et voluntate interius operatur. Sed id quod imperfecte habet naturam aliquam vel formam aut virtutem, non potest per se operari, nisi ab altero moveatur. [...] Sic igitur quantum ad ea quae subsunt humanae rationi, in ordine scilicet ad finem connaturalem homini, homo potest operari per iudicium rationis. Si tamen etiam in hoc homo adiuvetur a Deo per specialem instinctum, hoc erit superabundantis bonitatis, unde secundum philosophos, non quicumque habebat virtutes morales acquisitas, habebat virtutes heroicas vel divinas. Sed in ordine ad finem ultimum supernaturalem, ad quem ratio movet secundum quod est aliqualiter et imperfecte formata per virtutes theologicas, non sufficit ipsa motio rationis, nisi desuper adsit instinctus et motio Spiritus Sancti, secundum illud Rom. VIII, qui Spiritu Dei aguntur, hi filii Dei sunt; et si filii, et haeredes, et in Psalmo CXLII dicitur, spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam; quia scilicet in haereditatem illius terrae beatorum nullus potest pervenire, nisi moveatur et deducatur a Spiritu Sancto. Et ideo ad illum finem consequendum, necessarium est homini habere donum Spiritus Sancti. (Summa Theol., 1-2, q. 68, a. 2, co.). “in omnibus habentibus gratiam necesse est esse rectitudinem voluntatis, quia per gratiam praeparatur voluntas hominis ad bonum, ut Augustinus dicit. Voluntas autem non potest recte ordinari in bonum nisi praeexistente aliqua cognitione veritatis, quia obiectum voluntatis est bonum intellectum, ut dicitur in III de anima. Sicut autem per donum caritatis Spiritus Sanctus ordinat voluntatem hominis ut directe moveatur in bonum quoddam supernaturale, ita etiam per donum intellectus illustrat mentem hominis ut cognoscat veritatem quandam supernaturalem, in quam oportet tendere voluntatem rectam. Et ideo, sicut donum caritatis est in omnibus habentibus gratiam gratum facientem, ita etiam donum intellectus” (Summa Theol., 2-2, q. 8, a. 4, co.).
(58) Non sappiamo mai, di scienza certa, se noi abbiamo la grazia. Ma lo dobbiamo sperare, seppure non abbiamo coscienza di un peccato mortale e se serviamo Dio con buona volontà. Nelle anime sinceramente cristiane lo Spirito Santo aggiunge spesso, alla testimonianza della loro coscienza, la sua propria testimonianza. Donde proviene uno stato di certezza pratica, che, pur lasciando luogo al timore, dà all'attività del fedele un punto di appoggio rassicurante.