III
Il Dono della fortezza
S. CATERINA DE' RICCI
S. GIOVANNI DI GORCUM
S. PIETRO MARTIRE

«Chi troverà una donna forte?» [Mulierem fortem quis inveniet? Procul et de ultimis finibus pretium eius (Proverbi 31,10)]. Invano io cerco la risposta nel libro dei Proverbi, dove incontro questa interrogazione. Vedo bensì una descrizione ideale, di questo tipo di virtù, ma finita questa descrizione, il testo tronca il discorso, il santo libro finisce. Sarebbe dunque un'ironia, oppure una di quelle questioni eternamente irresolute che gli antichi designavano col nome di problemi, - e noi diremmo enigmi?

No, non è un enigma. O, se è un enigma, è risolto ogni giorno dallo Spirito di Dio. Alla debolezza di Eva, egli oppone la fortezza della Madre dei dolori, in faccia alla storia deplorevole delle incostanze delle donne che non si appoggiano su Dio, sciorina l'epopea delle sante che, nell'ispirazione dello Spirito della fortezza, trovarono il coraggio indomabile degli eroi.

S. Caterina de’ Ricci in un ritratto di Pierre Subleyras

Tale ci appare S. Caterina de' Ricci [al secolo Alessandra Lucrezia Romola (Firenze 23 aprile 1522 – Prato 2 febbraio 1590 ), religiosa italiana; fu canonizzata da Benedetto XIV nel 1746; la festa liturgica è stata spostata al giorno 4 febbraio (il 2 infatti è la festa della Presentazione al tempio di Gesù].

La fortezza ha due atti principali: il sopportare e l'intraprendere. Avviene di rado che questi caratteri siano assolutamente isolati. Tuttavia, di solito, domina uno dei due. Poiché dobbiamo fare una scelta, diremo che il temperamento della nostra santa è piuttosto d'intraprendenza. Lo Spirito di Dio le ispira la scienza, l'arte e il coraggio di operare indomabilmente a suo servizio.

Ancora bambina, ella vuole essere domenicana. Bisogna subito che tutti s'affaccendino per ottenere il permesso di suo padre, personaggio ragguardevole di Firenze: sono domenicane di passaggio nella città, è il suo zio, il P. Ricci, è la superiora del convento di Prato, imparentata con le principali famiglie e molto influente in Firenze. Questa ottiene che ella si rechi la passare dieci giorni nel suo monastero. Naturalmente, alla fine dei dieci giorni, ella rifiuta di partire col suo fratello, venuto per cercarla. Accorre suo padre, ma la piccina non vuole seguirlo. E bisogna che intervenga l'autorità della stessa priora. Finalmente parte, ma solo a condizione di ritornare. Suo padre non s'affretta a mantenere la promessa. Allora, supremo e provvidenziale ripiego... cade malata «a morte». Suo padre è desolato. Un giorno che egli piangeva presso di lei, stringendo la sua languida manina: «Babbo mio - disse ella - Nostro Signore mi vuole per sposa, me l'ha detto: lasciami partire e guarirò, vedrai». Il padre promette: subito la bambina guarisce. Questa volta giunge ai suoi fini, il padre la lascia partire. Volle essere domenicana, e lo è.

Domenicana, volle essere una religiosa perfetta, «fino al collo». «Le religiose erano orgogliose d'avere una santina per compagna; solamente questa santina di undici anni, la volevano a modo loro, savia, amabile, obbediente, regolare secondo l'andazzo comune» (5). Tale non era né la volontà dello Spirito né quella della sua ancella. Le intimità divine la rapivano ai doveri tranquilli. I fenomeni straordinari si moltiplicavano, la comunità turbata era piena di prevenzioni riguardo a queste vie eccentriche; e si giunse al punto di ordinarie di sputare sopra le sue visioni. Così fece ella eroicamente, e queste, in vece di sparire, l'approvarono. Il cambio del cuore con Nostro Signore, le stigmate, ed altre manifestazioni soprannaturali furono la ricompensa della sua obbedienza, e il segno non equivoco dell'ispirazione divina. Siccome era schiava della regola, e d'una nobile e franca familiarità con tutte le sue sorelle, finì con ottenere la ratificazione del suo genere di vita: la sua perseveranza, il suo coraggio, la sua energia soprannaturale, non smentendosi mai, riportarono una vittoria completa. Aveva voluto essere una perfetta domenicana, e lo fu.

Non bastava. Perfetta, volle che anche le sue consorelle fossero perfette. «Frattanto si conosceva il suo valore, e si metteva in evidenza. Da prima nominata sottopriora, oltrepassò tutte le speranze, a tal segno, che alla prima vacanza fu eletta priora all'unanimità. Allora diede tutta la sua misura. Donna di testa e di cuore, governò, con una spirito di giustizia incorruttibile... Esempio austero e vigile custode della regola, non lasciava impunita alcuna colpa... Non tollerava che le religiose occupassero la loro mente di frivolezze e il loro cuore d'affetti mondani »(6). Nondimeno la sua fermezza era temperata da dolcezza, come conviene a un dono dello Spirito. La natura è violenta, ma la vera fortezza si possiede e sa moderarsi. «Il suo comandare era così materno che si provava un estremo piacere a obbedirle». Si capisce che, sotto quest'alta direzione, il convento di Prato diventi un centro di vita religiosa ideale. Ella aveva voluto che le sue consorelle fossero perfette, e lo furono.

E ciò non le bastava. Voleva ora che la santità del Convento di Prato irradiasse tutto attorno, sopra il suo Ordine, e sopra quella Firenze diletta di cui ella era l'Angelo protettore. Come S. Caterina da Siena, ella ebbe discepoli: «Il suo Ordine gliene fornì i primi. I Provinciali e i priori la chiamavano loro Madre; religiosi di gran valore erano lietissimi di corrispondere con lei e di seguire i suoi consigli. Tutta quanta la sua famiglia era nelle sue mani... Nell'aristocrazia fiorentina contava una turba di discepoli, anime nobili, capaci delle più eroiche virtù civili e cristiane... I più conducevano nel mondo una vita che non avrebbe fatto disonore al chiostro.» - «Altre anime, più perfette ancora, ricercavano la sua amicizia. Basti citare S. Maria Maddalena de' Pazzi, S. Filippo Neri, S. Carlo Borromeo, S. Pio V, il Savonarola. Ella restò fedele a quest'ultimo, e il convento di Prato diventò l'asilo della sua memoria. Con la sua corrispondenza estesissima, con le visite numerose che riceveva, con l'edificazione che tutti riportavano dalle loro relazioni con Prato, pose il suggella all'opera della sua vita. Aveva voluto che Prato fosse un centro di vita perfetta, e lo fu.

Così, in mezzo ai maggiori ostacoli, si svolge la forte unità di questa vita. Lo Spirito di Dio le insegnò a volere fortemente quello che voleva egli stesso, ed ella lo volle senza venir meno. Domenicana, Perfetta, Fascinatrice, Centro d'Apostolato, ecco i progressi della sua intraprendenza. Ella rimane un tipo di questo primo aspetto del Dono della Fortezza.




Dall'Italia, paese dei condottieri eroici, passiamo in Olanda, paese del coraggio paziente, delle persone che domano lentamente con dighe le invasioni del mare, degli antenati di quegli eroi che non è gran tempo attendevano con calma il nemico nelle trincee, e non sapendo tremare, riportavano vittorie incomparabili, semplicemente col non indietreggiare. E' il paese della fortezza, non più della fortezza aggressiva, ma della fortezza che sopporta senza piegare. Lo Spirito divino, abitante nelle anime per la carità, tempera sovente la sua azione secondo le nostre disposizioni naturali. E, come la carità sa soffrire, Charitas patiens est [1 Corinzi 13,4] , noi ci troviamo sulla tema d'Olanda, di fronte ad una stirpe di santi dalla carità forte e paziente.

I martiri di Gorcum in un quadro di Cesare Fracassini

Giovanni di Gorcum [Giovanni Heer, detto anche Giovanni di Colonia (Colonia, Germania, 1500 circa - Brielle, Paesi Bassi, 9 luglio 1572), fa parte del gruppo dei 19 martiri di Gorcum, canonizzati dal Papa Pio IX il 29 giugno 1867] è da vent'anni parroco di Hoornaer. Tutta l'Olanda è devastata dai Pezzenti [Gheusi del mare, Gueux de mer, mendicanti del mare, pirati olandesi]. La religione cattolica è distrutta in una gran parte del territorio. Nella parrocchia di Gorcum, a due miglia da Hoornaer, i calvinisti hanno fatto prigionieri un gran numero di preti e di religiosi, li hanno rinchiusi nella cittadella, hanno loro fatto subire ignobili insulti. Giovanni di Gorcum resta in mezzo ai suoi parrocchiani: si veste da laico per poter continuare il suo ministero. E giunge a penetrare nella prigione di Gorcum e a portare ai suoi fratelli prigionieri la santa Eucaristia. E si assume l'incarico della Parrocchia devastata. Ma il suo andare e venire lo tradisce. Fatto anch'egli prigioniero, è rinchiuso con i futuri compagni del suo martirio.

E' impossibile immaginare le torture che inventano i loro carnefici. Spogliati dei loro abiti religiosi, seminudi, vengono trasferiti a Brielle, mortale traversata di venti ore. A Dordrecht sono ricevuti dal popolaccio, che li copre di immondizie e li carica di ingiurie. Li visitano nella loro barca come belve feroci, mediante un prezzo fisso. A Brielle sono obbligati a circondare la tavola del festino, dove i loro carnefici celebrano con un'orgia la loro triste vittoria. Il giorno dopo s'ordina loro di trascinarsi in ginocchio verso un luogo di supplizio e di fare tre volte il giro d'una forca. Essi cantano la Salve Regina credendo venuta la loro ultima ora, ma non è che una derisione. In mezzo ad una turba urlante, sono condotti sulla piazza del mercato ove si rizza un'altra forca. Essi cantano il Te Deum. Nuova parodia: finiranno questa giornata in prigione. Il 7 luglio, sono condotti davanti al tribunale del governatore. Loro s'intima di abiurare la presenza reale di Gesù nell'Eucaristia e il primato della S. Sede. Tre di loro soccombono. Gli altri resistono. Il giorno dopo, uno dei tre spergiuri, un novizio francescano, torna a prendere il suo posto nel santo corteo.

E' il 9 Luglio 1572, un convento di Agostiniani devastato mostra in mezzo alle sue rovine una vecchia baracca il cui tetto sventrato è sostenuto da travi. I confessori della fede sono schierati in fila di fronte a queste travi. Son nudi. Il guardiano dei Francescani, Nicola Pieck, è gettato a terra per il primo. Gli si passa una corda al collo e viene issato alla trave. Mentre egli si dibatte, si tenta un ultimo sforzo sopra gli altri martiri per farli apostatare. Giovanni prende la parola, e, a nome di tutti, proclama la presenza reale di Nostro Signore nell'Eucaristia e il primato del Papa. Ciononostante due di loro piegarono. Gli altri serrano le file e attendono al loro posto di battaglia. A uno a uno sono issati, con la corda al collo, alle travi del tetto. Giovanni di Gorcum resta uno degli ultimi e il suo coraggio non piega. Egli è giustiziato a sua volta. Dal patibolo pendono diciannove cadaveri. La turba infierisce sopra di essi, li mutila, li squarta, si infilzano sulla punta delle picche i pezzi sanguinolenti; l'orribile corteo percorre Brielle in tutti i sensi. Finalmente, nella piazza del mercato si riuniscono tutti questi brani e si vendono al maggior offerente (7).

In questo dramma sinistro, tutto è resistenza, tutto è immolazione subita, tutto è pazienza indomabile. Nulla dello slancio dell'assalto. La fortezza si concentra sopra un solo atto: non cedere. Di mano in mano che l'aggressione s'accentua, sale lo spirito di resistenza. Quale spirito ispira ai nostri martiri questi rifiuti energici, queste denegazioni sublimi, queste passività eroiche, se non lo Spirito della Fortezza, più ammirabile forse nel sopportar pazientemente, dove non vi è alcuna gioia umana, anziché negli entusiasmi dell'attività!... Che luce per quelle anime privilegiate che Dio chiama al soffrire!

S. Pietro martire in un ritratto di Pedro Berruguete

Sul pavimento del capitolo del convento di Bologna, Pietro da Verona [o Pietro Martire, al secolo Pietro Rosini (Verona, ca. 1205 – Seveso, 6 aprile 1252), predicatore e inquisitore, canonizzato da papa Innocenzo IV il 24 marzo 1253] giace disteso. Una voce accusatrice si fa udire. E' imputato di un fatto disonorevole. Il priore gli intima di giustificarsi. In ginocchioni, egli si rifiuta, protestando semplicemente la sua innocenza. Le testimonianze paiono tuttavia convincenti, e fra Pietro, cacciato dal convento di Bologna, è relegato a Jesi nelle Marche. E parte disonorato. Per molto tempo rimane, così, in penitenza, sopportando senza mormorazione la prova divina. Finalmente viene l'ora della verità; la sua innocenza è riconosciuta e proclamata; ritorna al suo convento, con la fronte cinta dell'aureola dei forti che sanno soffrire con pazienza.
Adesso è l'ora di aggredire. Fra Pietro è inquisitore, cioè incaricato di ricercare e di perseguitare l'eresia. Opera in mezzo ai maggiori pericoli, perché è un errore il credere che tutti i pericoli fossero dalla parte degli eretici. Del resto si sforza di convincerli principalmente con la predicazione. La sua intrepidezza è così grande, i suoi successi così strepitosi, che egli diventa il punto a cui sono diretti tutti gli agguati. «Morrò per mano degli eretici», diceva spesso. E continuava la sua missione senza impallidire. Nel 1252 si forma un complotto per assassinarlo. Fra Pietro viene avvertito, e annunzia ai suoi fratelli di Como che la sua fine è prossima, e dice loro che il suo martirio avrà luogo tra Como e Milano. Poi, dopo un ultimo discorso di addio, parte per Milano, dove il suo dovere lo chiama. Sulla strada l'agguato è preparato. Il santo canta con i suoi compagni le strofe del Victimae paschali laudes [Victimae paschali laudes immolent christiani: una sequenza che tradizionalmente viene cantata nella liturgia pasquale]. Procede innanzi col solo Fra Domenico. In una fitta boscaglia gli assassini si precipitano sopra di lui. Un colpo di roncola gli spacca la testa.

Egli dice: «O Signore, rimetto nelle tue mani l'anima mia». Poi, raccogliendo tutte le sue forze, con il suo sangue scrive sul suolo queste parole: Credo in Deum.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Ecco veramente il fondo dell’anima dei nostri tre santi: S. Caterina ha fame e sete della giustizia dovuta a Dio, cioè della santità, che costituisce i veri giusti; S. Giovanni ha fame e sete della giustizia che consiste nel compire il proprio dovere, e nell'essergli fedele fino alla morte; S. Pietro martire, che sa adorare la giustizia di Dio che lo colpisce innocente, sa anche assecondare, senza venir meno, i disegni di questa medesima giustizia, quando colpisce l'errore per salvare l'innocenza. Intrepidezza nell'attacco e pazienza per il servizio di Dio, ecco la caratteristica dei nostri tre santi. Adesso sono saziati. In cielo, donde ogni ingiustizia è esclusa, vedono, nella sua sorgente, la Volontà divina che condanna le ingiustizie della terra e approva ogni intenzione giusta. Noi che soffriamo per la giustizia e odiamo l'iniquità, solleviamo gli occhi e facciamoci coraggio. La lotta presente non ha che un tempo. La persecuzione e il martirio hanno un domani. Il regno di Dio, il regno della giustizia, dove i nostri santi ci hanno preceduti, è vicinissimo a noi. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.


NOTE

(5) Louis Boitel, Sainte Catherine de Ricci, du Tiers-Ordre régulier de Saint-Dominique, par le R. P. Louis Boitel, Lille, Desclée De Brouwer et Cie, 1897, pag. 7.
(6) Opera citata, pagg. 17-18.
(7) Tutti questi particolari sono tolti dai Cenni sopra S. Giovanni di Colonia e suoi compagni, a cura del M. R. P. Daniel Antonin Mortier (Saint Jean de Cologne, Lille, Desclée De Brouwer et Cie, 1899).